Instancabilmente astratta, emozionalmente eccessiva, Rei Kawakubo riesplode con la sua immensa immaginazione.
La dimensione dell’incubo o forse del sogno non lo sappiamo, anche perchè incubo e sogno vanno di pari passo, sono frutto della nostra mente e insidiano gli strati più profondi della nostra anima; talvolta ci fa “sognare”, altre volte ci incute timore, ma il timore non è altro che rispetto, ed il rispetto è quello che va riconosciuto a colei che forse custodisce il segreto dell’eterna creatività.
I mostri nella nostra coscienza rivivono secondo l’impatto visivo della Kawakubo, incubi astratti o venere degli stracci?
Riducono le nostre conoscenze al niente, annientano qualunque sia la nostra visione dell’incubo, mostri aggressivi che prendono forma da intrecci e trame, nodi e intarsi, maniche oltremodo lunghe, ammassi di tentacoli o escrescenze, bozzi ed estrusioni, prendono forma dal più morbido dei materiali, la maglia. Quella maglia che sembra così rigida e cattiva, nasconde invece un’anima morbida, usata per realizzare “protesi” volumetriche e imbottite che si schiudono a carapace intorno al corpo, attorcigliandolo, nascondendolo o avvolgendolo in forme astratte.
Ad arricchire ed enfatizzare il tutto è il gioco di luci ed ombre dato dai colori. Intramontabile ed immancabile è il nero, ombra che degrada nei grigi antracite e giunge fino al bianco avorio, blu e marrone, rompe l’armonia immaginaria di quello che sembrava un sogno. Si chiude così la notte inquieta di Comme des Garçons.