In occasione della mostra Waste collection #1 #2 #3 che in questi giorni si sta svolgendo alla Triennale di Milano, abbiamo intervistato Chiara Capellini, giovane ed intraprendente pittrice milanese che, in una lunga conversazione al telefono, ha messo a nudo la sua grande sensibilità, toccando temi attuali come: gli scarti, il consumismo nella “shopping mania” e nella “foodmania”; ed esponendo la sua idea sul “caos estetico”, sulla creazione artistica e sull’importanza dei sogni.
Chiara si presenta come una ragazza genuina, piena di entusiasmo e voglia di fare; cosa non sempre facile da ritrovare nei creativi che vogliono avere successo qui in Italia, a causa della forte crisi che stiamo affrontando. La giovane pittrice ha 33 anni ed è milanese. Dopo essersi diplomata alla Naba di Milano e alla Rhode Island School of Design a Providence in America, il suo percorso inizia da freelance come illustratrice, grafica e art director; avorando come creativa in agenzie di comunicazione come PianoB, come illustratrice per riviste italiane come Urban Magazine, Rolling Stones e Il Ventiquattro e collaborando come grafica per Bastard clothing e per Vibram soles. Ma la sua vera passione è sempre stata la pittura.
La sua esposizione “Waste Collection #1 #2 #3” prevede un’insolita collezione di materiali di recupero.
In particolare prevede: gli scarti delle colature di acrilico trasformati in microsculture, i cosiddetti Drippings; le carte da forno adoperate dai panettieri di tutta Italia ed infine i Color Testers, fogli messi a disposizione del pubblico per scarabocchiare e verificare il prodotto che vuole comprare, provenienti delle cartolerie di tutto il mondo.
Chiara come ti sei avvicinata all’arte e qual è stato il tuo percorso?
Esco dalla NABA dove ho fatto corsi di disegno grafico e art director, ma in realtà ho sempre avuto l’idea di fare arte. Quello che imparavo poi l’avrei comunque riversato sicuramente nell’arte. Intanto ho iniziato a lavorare come illustratrice e come grafica fino a diventare responsabile creativo di un’agenzia di eventi e comunicazione Fasten Seat Belt. Nei miei lavori ho sempre conservato lo stile della street culture e ho lavorato come freelance con riviste e marchi d’abbigliamento come Bastard.
Beh, Ti sei data da fare.
Sì, esatto. Tutto questo percorso è sempre stato però affiancato dalla mia costante ricerca artistica.
Quindi l’arte fin da sempre è stata il tuo scopo principale, piuttosto che la grafica o altro, che magari hai utilizzato solo come mezzi per poi arrivare al tuo obiettivo. Giusto?
Più che altro ho imparato da lì come si fa, come si crea un progetto, e come si trova un’idea, poi la stessa cosa la faccio anche nell’arte, però chiaramente con una sensibilità maggiore.
Dopo essere stata a New York quest’estate ho deciso di allontanarmi, di fermarmi completamente con i marchi e quindi con la parte più commerciale dell’arte.
Come è nata l’idea di questa mostra?
L’idea è una sintesi di tante cose che ho pensato, non nasce dal nulla. Metti insieme tanti piccoli tasselli e racconti una storia, sono tante idee con una storia da raccontare.
Una storia che è durata quanti anni?
Praticamente dal primo momento che ho visto i dripping, circa 5 anni fa; ho cercato di capire perché mi piacessero. Ho cercato di mettere dentro questa mostra tutto quello che sono. La parte difficile è che, di tutta questa roba, poi bisogna fare una grande sintesi, altrimenti le persone non capiscono.
Guardando le tue opere, si può notare che le tue numerose esperienze lavorative e i tuoi continui viaggi hanno influenzato positivamente il tuo modo di fare nell’arte. Quali sono in particolare le esperienze che ti hanno segnata di più?
Stando a New York , a Londra, vivendo a Berlino, andando in giro, è chiaro che il confronto è differente rispetto a quello che puoi vedere a Milano. Quella che mi ha segnata di più è stata sicuramente New York l’estate scorsa, ancora più di Brooklyn; è “esploso” dentro ai miei occhi esattamente il concetto che volevo comunicare. L’iper consumismo che puoi vedere concentrato nella metropoli newyorkese, io l’ho espresso con questa installazione.
In WASTE COLLECTION #1#2#3 , ti concentri principalmente su temi molto attuali che riguardano lo scarto, il consumo e lo spreco. Cosa ti ha spinto a collezionare scarti e a dare vita anche a quelle cose che normalmente sarebbero destinate ad essere gettate? Nel tuo gesto c’è anche un messaggio sociale?
Esatto. Sicuramente è un po’ una mia fobia o mania, allo stesso tempo, il fatto di collezionare una “miliardata” di cose, di cui in realtà poi non sappiamo manco cosa farcene, come gli armadi pieni di vestiti, le quantità di cibo inutili che mangiamo, le quantità di oggetti materiali e di colori che possiamo comperare… e poi ci ritroviamo con tutta questa roba che inevitabilmente ci attrae. Con la mostra, appunto, esalto l’estetica della quantità, che allo stesso tempo è provocatoria. Metto come soggetto uno scarto: è un odio e amore. Questo amore per la quantità, il risaltare qualcosa che in realtà sarebbe da buttare, può essere utile per saziare questa nostra ingordigia di quantità.
Certo, producendo qualcosa ex novo, magari avresti incentivato ad aggiungere altre cose al di fuori degli scarti già esistenti, che comunque rimangono, non si possono eliminare.
Esatto, diciamo che non ho fatto ancora niente di male. Il prodotto di queste opere sarebbe stato forse peggiore.
Forse tu la pensi così anche perche hai avuto modo di viaggiare, entrare in contatto con altri mondi. Visitando altre metropoli avrai avuto modo di aprire la mente e così sei arrivata a questa ideologia che purtroppo non tutti hanno, specie in Italia dove non è sempre facile far capire questo concetto.
A New York è imbarazzante la quantità di roba che vedi nei negozi, resti scioccata. Io non voglio immaginare la quantità di scarto che stiamo producendo con tutti questi marchi low cost , non voglio neanche immaginare in Cina che cosa c’è.
Quali generi e modi espressivi preferisci?
Io mi ritengo una pittrice! Quindi quello che ho fatto adesso è quasi una sconfitta, ma non per questo mi arrendo nella pittura. Il mio è un omaggio a quello che in realtà esiste già. Io come pittrice ho cercato sempre di creare del caos che fosse estetico. La creazione nasce dal caos. E’ questo il concetto da cui ogni pittore deve partire.
Quando ho trovato sul pavimento dello studio questo caos generato dalle colature di acrilico, che era perfetto in paragone con le opere che stavo realizzando, per me è stata un po’ una sconfitta e un po’ anche una domanda: ma se il caos è più bello della pittura che sto facendo, o comunque della pittura in generale, ed inoltre richiede uno sforzo inferiore, allora che cosa deve creare l’uomo?Questa è la risposta che sto cercando.
Che cosa deve fare la pittura? A cosa serve la pittura? Forse è giovane come pensiero, però prima di creare domandiamoci che cosa dobbiamo creare! Questa è una domanda che, secondo me, tutte le persone dovrebbero farsi. Per creare qualcosa, potrei partire dal presupposto che sempre va a toccare l’ambiente, invadendolo. Il creare deve essere qualcosa d’importante e la gente deve iniziare a capire il valore della creazione, non di produrre in quantità infinite, senza poi in realtà dare; il tutto perde di importanza.
Magari questo è un po’ forte come paragone: “è come amare una persona o amarne 50mila”.
Quali consigli dai ai giovani creativi che vorrebbero continuare a lavorare in Italia, dove però non è sempre facile trovare lavoro e magari anche la mentalità giusta?
Il problema italiano secondo me è che le persone non ci credono a metà strada, forse neanche alla fine. Non c’è nessuno che ti appoggia nella fase iniziale, che è la fase più bella. Quindi consiglio di crederci da soli , di crederci fino in fondo ed uscire nel momento in cui si ha l’idea finita. Altrimenti non ci crede nessuno.
Secondo me devi crearti un sogno e poi devi uscire nel momento in cui l’hai finito. Devi prepararti una strategia decisa, per evitare di sbagliare strada o di non essere capito, o peggio ancora di bruciarti a meta del percorso. Vai fino alla fine, magari fai altri lavori, altre esperienze e poi presenti la tua opera finita.
Progetti per il futuro?
Tornare a dipingere.
E’ possibile visitare l’esposizione di Chiara Capellini fino al 20 Luglio presso La Triennale di Milano di Via Alemagna 6.