Un fulmine a ciel sereno.
Una sorpresa per tutti i fan di Marina Abramovic che, in occasione dei Mondiali di calcio 2014 in Brasile, presenta con Adidas una performance circa il lavoro contestualizzato nella società contemporanea.
Ma non è una completa novità. Si tratta di un’esecuzione già avvenuta nel 1978 al teatro Ann Rijn ad Arnhem, in Olanda, quando l’artista cominciava a farsi conoscere in giro per il globo, accompagnata dal suo inseparabile partner Ulay.
Una squadra di perfomer muove l’azione che si basa sul trasportare, in tre metodi diversi, delle pietre da un lato a un altro del campo, il tutto seguendo le indicazioni dell’”arbitro” Abramovic: individualmente, a gruppi di due, o formando la catena umana. Quest’ultimo metodo risulterà essere il più efficiente.
La collaborazione con Adidas non è casuale, proprio perchè i tre punti fondamentali dello sport (lavoro di gruppo, disciplina e perseveranza) spiccano raggiungendo numericamente più massi. E qualche buon osservatore saprà riconoscere il modello di scarpe “Samba” ideate da Adidas nel 1950.
Vuole anche significare una stretta e fluida corrispondenza tra due grandi mondi: quello dell’arte e quello dello sport.
Queste le parole di Marina riguardo l’evento:
“Il lavoro di squadra massimizza l’impegno, la dedizione e, in ultima analisi, la prestazione. L’energia collettiva è fonte di grande forza, cosa che ho scoperto proprio attraverso le prove di Work Relation (nel 1978, con Ulay). Queste stesse qualità costituiscono le fondamenta tanto del mio istituto, il MAI, quanto di ogni altra iniziativa. Trovo molto affascinanti gli elementi che la performance artistica e lo sport hanno in comune e mi ha entusiasmato l’idea di metterli al centro di questo progetto.”
L’impatto visivo è sicuramente parte centrale della scena, caratterizzato da un bianco e nero che aiuta a lasciare lo spettatore concentrato e a non tralasciare dettagli prodotti dalla co-operazione dei singoli.
Ma se da un lato si pone l’accento sulla collaborazione di individui, l’altra faccia della medaglia invoca un messaggio di denuncia a un lavoro che spersonalizza e che, spesso, nelle grandi catene di montaggio, rende l’uomo soltanto la piccola parte di un grande sistema che lo sovrasta.