A partire dagli anni Settanta dello scorso secolo è avvenuto un processo di metamorfosi di tutte le città.
Dopo il crollo economico della città fordista, ci si è ritrovati a fare i conti con la pesante eredità della società industriale. Spazi che prima avevano una vita, oggi, quando non già caduti in disuso, vengono trasformati e stravolti con un cambiamento più legato alla funzione che alla forma.
Tutto questo ha portato naturalmente alla nascita della nuova urbanistica, che ha stravolto il modo di concepire le città e i propri spazi che cambiano rapidamente aspetto, mutando al passo con quelle che sono le richieste di chi vive i luoghi, distaccandosi dallo statico concetto di abitare gli spazi e legandosi al più frenetico e moderno concetto di vita multimediale.
Molti studi, cavalcando l’onda del cambiamento, hanno fatto della rigenerazione urbana, legata al concetto di networking, il tema principale di ricerca.
Un gruppo che tra i tanti spicca per le sue capacità di dialogo ed interazione tra abitante, architettura e città da rigenerare è Ecosistema Urbano.
Architetti, urbanisti e sociologi di Madrid che operano in tutto il mondo, dal 2000 nell’ambito dell'”architettura sociale”, guidati da Belinda Tato e Jose Luis Vallejo.
Definiscono il loro approccio alla progettazione di tipo sociale urbano, la progettazione di ambienti è intrinsecamente connessa alle dinamiche esistenti e agli spazi, allo scopo di migliorare le pratiche di autogestione dei cittadini in relazione allo spazio.
Sempre legato al concetto di multimedialità spaziale, Ecosistema è fortemente all’avanguardia, gestisce una vera e propria piattaforma digitale con blog e canale tv su Youtube, legata al tema della sostenibilità urbana, fungendo da supporto al lavoro sul campo, permettendo la connessione e la collaborazione istantanea.
Un esempio pratico di questo lavoro di “architettura sociale” attraverso i network è DreamHamar.
E’ un progetto risalente al 2011-2013. E’ un vero e proprio processo di rigenerazione urbana, finalizzato alla realizzazione e alla riprogettazione dello spazio pubblico della piazza Stortorget a Hamar, Norvegia.
Il gruppo, si è occupato di coinvolgere l’intera cittadinanza e non solo in un processo di brainstorming, per raccogliere idee e proposte. Oltre ad avvalersi di workshop e conferenze in loco, in un Physical Lab. Grazie al concetto di coworking su una piattaforma digitale, Ecosistema Urbano ha coinvolto numerose figure al di fuori del contesto fisico, allo scopo di instaurare una collaborazione con studenti, professionisti e cittadini mediante l’uso di social network e app telefoniche.
Il risultato di questo lavoro è stata la trasformazione sostanziale della piazza di Hamar, con la realizzazione di una spazio permeabile in cui c’è una commistione di funzioni, tale da rendere la piazza (luogo di incontro e socializzazione con edifici polifunzionali e ricreativi) un rifugio, una serra con attività ludiche e sportive.
Questo progetto è stato selezionato tra i 27 Progetti finalisti della Biennale spagnola di Architettura e Urbanistica.
Nel mese di maggio di quest’anno, inoltre, è stato pubblicato un libro sull’esperienza di progettazione partecipata in Norvegia, che si chiama appunto “DreamHamar” ed è un resoconto del lavoro svolto sui sette temi di ricerca sviluppati.
Questo tipo di approccio alla progettazione urbana, legata al concetto di rigenerazione gestita da professionisti e cittadini, è diventato una consuetudine. Cambia drasticamente il concetto della città, non più considerato un solido sistema di merchandising economico, talvolta legato alla speculazione edilizia e talvolta alla vendita della città stessa come brand turistico. Il cittadino riacquista un ruolo chiave ed attivo nella creazione della città stessa, avvalendosi della tecnologia e della velocità della stessa per riappropriarsi di spazi che fino a cinquant’anni fa sembravano sacri e invalicabili come chiese.
Bisognerebbe forse chiedersi se finalmente siamo sulla buona strada per una corretta pratica del progettare legata veramente alle necessità dell’uomo che abita la città, ricorrendo all’architettura anche come operazione sociale e sociologica.