Dopo le cose da non perdere (divise in prima parte e seconda parte) alla Biennale di Rem Koolhaas, questa settimana tutto quello che non potete perdervi ai Giardini.
01 – Padiglione Centrale: Elements of Architecture. Elements of Architecture esplora genealogie e mutazioni delle singole componenti costruttive dell’architettura, frutto di un lavoro di ricerca condotto da Rem Koolhaas stesso con AMO, unità di ricerca interna al suo studio, e con gli studenti della Harvard School of Design. Per quanto molti degli studi raccolti rappresentino spunti di riflessione interessante, quello che non emerge con chiarezza è come questi elementi partecipino insieme nella composizione dell’architettura, né quale sia il contributo dell’esposizione ai fini dell’avvenire della progettazione. I cinefili apprezzeranno il montaggio di scene tratte da diversi film proiettato nella sala centrale.
02 – Padiglione Serbia: 14-14. La sala centrale espone 100 progetti degli ultimi 100 anni scegliendoli in base al successo di critica ottenuto all’epoca cui ciascun progetto fa riferimento, dando una dimostrazione di come la società e la figura dell’architetto cambino nel corso del tempo. Fra i progetti, l’unico che acquista maggior spicco è quello del Museo della Rivoluzione, mai realizzato.
03 – Padiglione Brasile: Modernity as Tradition. L’allestimento, scandito da permeabili pannelli divisori di cogobò, ripercorre edifici e protagonisti principali del modernismo in Brasile, non una semplice espressione di un’élite avanguardistica, ma parte integrante del patrimonio culturale del Paese e emblema di un vivace periodo carico di ideologie e utopie democratiche.
04 – Padiglione Polonia: Welcome to our dream. La Polonia affronta il tema dell’assorbimento della modernità passando attraverso la creazione ad hoc della propria coscienza nazionale e storica, operata a partire dall’indipendenza acquisita nel 1918 e durata fino al ripetersi delle ennesime invasioni allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. L’enorme baldacchino al centro della sala ripropone uno dei principali monumenti simbolo della Nazione, il cui tetto viene però lievemente staccato dal resto della struttura con uno stratagemma che sembra farlo lievitare in quella stessa dimensione onirica nel quale si generano i miti del passato.
05 – Padiglione Grecia: Tourism Landscapes. Remaking Greek. Assolutamente felice la trovata della Grecia, che associa la Modernità all’elemento fautore del suo sviluppo, il turismo: le prospettive dello scempio paesaggistico sono ribaltate attraverso progetti ironici e a tratti un po’ utopici che ripartono dalle morfologie e tipologie caratteristiche dimenticate dai casermoni-hotel.
06 – Padiglione Israele: the Urburb. Dei pantografi disegnano e cancellano ripetutamente su grandi quadrati di sabbia la mappa degli insediamenti previsti ad Israele. La sabbia e le ripetute cancellazioni dei disegni trasmettono efficacemente l’effimerità del progetto che resta sulla carta.
07 – Padiglione USA: Office Us. Lo spazio espositivo diventa il reale ufficio di uno studio composto da membri reali e da una rete virtuale di collaboratori sparsi in tutto il mondo per catalogare progetti.
08 – Padiglione Russia: Fair Enough. Vincitore di una menzione speciale ̶ ben meritata ̶ e non a caso curato da Strelka, istituto di ricerca multidisciplinare che include architettura, urbanistica e comunicazione concepito dallo stesso Rem Koolhaas con AMO. È uno dei padiglione che resta maggiormente impresso: una messa in scena ironica in cui l’esposizione d’architettura si maschera in salone fieristico ai cui prodotti edili sono sostituiti i prodotti fisici e culturali di 100 anni di architettura in Russia.
09 – Padiglione Korea. Con Crow’s Eye View: The Korean Peninsula il padiglione della Korea del Sud curato dal fondatore di Mass Studies Minsuk Cho, si è meritato il Leone d’Oro per la miglior partecipazione grazie ad un progetto ambizioso e non privo di difficoltà, che per la prima volta tiene assieme il passato comune di entrambe le Koree, immaginando le potenzialità di una riconciliazione. “Fino a dicembre ero abbastanza deciso ad ingaggiarli nel lavoro ̶ i Nord Coreani, ndr ̶ inviandogli diverse lettere d’amore attraverso percorsi diversi, perché non posso contattarli direttamente“, ha precisato Cho, “poi in qualche modo quel processo si è organicamente trasformato in un globale, ambizioso progetto di ricerca piuttosto intenso, perché dovevamo trovare i contatti giusti e via dicendo. È diventata un’esposizione ad una scala piuttosto epica su entrambe le Koree, sull’architettura in entrambe le Koree, ma non ad opera di entrambe le Koree.”
10 – Padiglione Germania. Gli architetti Alex Lehnerer e Savva Ciriacidis hanno cercato di condensare 100 anni di architettura in Germania servendosi di un simbolo, un “edificio politico” costruito entro i 100 anni e che fosse stato strumentalizzato dai suoi possessori come un’affermazione della Nazione o una promessa alla stessa. Tra i tanti selezionati, hanno poi scelto di riprodurre il Kanzlerbungalow (bungalow del cancelliere) di Bonn, casa del cancelliere dal 1964 ̶ quando fu completato dall’architetto Sep Ruf ̶ fino al 1999. Il bungalow è giustapposto al padiglione Germania, rimodellato nel 1938 sullo stile del Reich, creando in tal modo dialogo tra due edifici politici opposti.
11 – Padiglione Regno Unito. A Clockwork Jerusalem, realizzato dal collettivo olandese Crimson Architectural Historians e lo studio londinese FAT sotto la direzione del British Council, è un’analisi critica delle origini della modernità britanniche impostato secondo l’approccio ironico e po(p)st-moderno tipico dello studio FAT.
12 – Padiglione Belgio. La curatrice Judith Wielander e gli architetti Sebastian Martinez Barat, Bernard Dubois e Sarah Levy hanno affrontato l’argomento dell’esposizione attraverso il punto di vista dell’architettura domestica comune. Il gruppo ha effettuato una ricerca tipologica, visitando centinaia di abitazioni di comuni abitanti. Dopo aver analizzato le immagini raccolte, hanno scelto alcuni degli esempi raffigurati, riproducendoli nel padiglione avvolto tutto in un bianco essenziale che astrae gli ambienti e li rende una sorta di documento degli interni nell’appartamento medio del Belgio contemporaneo.
13 – Serra dei Giardini. All’uscita dei giardini, lungo Viale Giuseppe Garibaldi, la serra dei Giardini ospita il lavoro del laboratorio di ricerca-azione LA PIAVE ad opera dell’associazione VERDI ACQUE, nata con l’intento di affrontare il tema dei paesaggi fluviali e delle comunità che li abitano. All’interno della serra trova spazio anche un delizioso bar in cui potersi fermare a prendere qualcosa all’uscita dalla mostra, mentre di fianco ad essa il Fittja Pavilion ripercorre arte, architettura e pianificazione della città in Svezia negli anni ’60 e ’70. Tra un pannello e l’altro potreste incrociare un morbido gatto che si aggira indisturbato per le esposizioni nella serra.