Una mostra criticata ancor prima di essere inaugurata. Arts and Foods, Rituali dal 1851 a cura di Germano Celant è ospitata negli spazi della Triennale di Milano fino al 1° novembre 2015.
È possibile raccontare la storia dell’arte attraverso il cibo? Questo lo spirito della mostra che, attraverso le più disparate declinazioni artistiche e agli accostamenti proposti, restituisce in ogni sala una fedele immagine del gusto e del costume dell’epoca che cambia. Dalle ricostruzioni delle sale da pranzo, ai caffè; dagli utensili da cucina agli oggetti di design; dalle pubblicità ai video, dal cinema alla fotografia, dalla pittura alle installazioni, ogni forma d’arte è coinvolta in questo “evoluzionismo” delle forme collegato al rituale sociale che ruota attorno al cibo. Arts and Foods è molto più di una mostra, è un viaggio nella storia dell’uomo. Attraverso l’evoluzione delle forme, degli oggetti e delle opere d’arte esposte è possibile infatti risalire ai vari contesti storici e ai cambiamenti relativi alle abitudini sociali ad essi correlati.
Ad esempio nella prima parte della mostra, La colazione in giardino di Giuseppe De Nittis dialoga con un esemplare della prima automobile, con i tavolini da picnic e le forchette da viaggio a testimonianza del diffondersi, grazie alla rivoluzione industriale e al progresso dei mezzi di trasporto, di uno stile di vita en plain air caratterizzato da “dejeneur su l’herbe”; mentre il cinema slapstick di Charlie Chaplin e Buster Keaton dialogano con le forme meccaniche delle Avanguardie dei primi del Novecento, Dennis Oppenheim e Marcel Duchamp ritornano a forme primitive di arte, contrapposte per associazione semantica agli utensili che le tribù indigene della Polinesia utilizzavano per i loro rituali legati al cannibalismo.
La seconda parte della mostra si apre con un imperativo categorico: “Eat”, l’opera luminosa di Robert Indiana, The Electric Eat, che si staglia sulle parete colorata. Dopo le due guerre mondiali gli artisti lasciano l’Europa, l’America diventa il nuovo centro propulsore dei nuovi canoni artistici che domineranno la scena internazionale. Gli artisti si apprestano a celebrare l’era del consumismo di massa. Le opere d’arte diventano merce come le sculture di cibo di Claes Oldenburg esposte nel suo “The Store” accanto a prodotti alimentari. Le nuove icone diventano le pubblicità di cibi in scatola e preconfezionati come le zuppe Campbell’s di Andy Wharol; gli oggetti accumulati di Arman o i resti di una tavola apparecchiata di Daniel Spoerri diventano gli emblemi degli accessi di una società capitalistica al collasso.
Il racconto prosegue nella terza e ultima parte della mostra che richiede un ulteriore sforzo analitico da parte dello spettatore: l’interesse degli artisti si è spostato gradualmente dalle forme iconiche della cultura e della società all’utilizzo di materiali organici e naturali. Il cibo per la sua natura deperibile diventa protagonista dell’opera. A partire da Pane alfabeto di Giuseppe Penone all’installazione Food Situation for a Patriotic Banquet di Antoni Miralda. Originariamente pensata per essere esposta all’aperto l’opera di Penone, fatta di vero pane, è divenuta cibo per gli uccelli che becchettando hanno portato alla luce la parte finale dell’alfabeto in esso contenuto. L’opera di Miralda, invece, è stata pensata per marcire: su di un tavolo dei piatti di riso con i colori delle bandiere sotto teca non conservano più alcun ricordo di quello che erano; solo muffa che inonda la stanza di un odore forte, attutito da quello del caffè proveniente dall’opera di Jannis Kounnellis sulla parete esterna. In una sorta di obsolescenza programmata le opere di questi artisti sono pensate per cambiare forma nel tempo e non solo. Richiedono il coinvolgimento dello spettatore che per comprendere queste opere deve attivare i propri sensi spesso a discapito della visione, il senso privilegiato per eccellenza.
La mostra di Celant rivela dunque non solo un approccio all’arte contemporanea di natura esperienziale e concettuale, ma anche un nuovo modo di concepire le mostre. Esperienze da vivere e non solo da vedere.