Riappropriarsi di un luogo, abitarlo, indagarlo e restituirne un nuovo senso senza dimenticarne la storia: questo è quello che hanno fatto i ragazzi della Civica Scuola di Cinema di Milano.
La sede della scuola è stata trasferita da un anno nel palazzo dell’ex Manifattura dei Tabacchi, in viale Fulvio Testi 121.
Gli artisti, come si sa, non si limitano a vivere uno spazio, ma ci dialogano, ricercano, domandano. Sono attenti e curiosi.
Marco Longo e Davide Cazzani, addetti alla regia e regia multimediale, sotto il sapiente tutoraggio di Frammentino e un altro gruppo di studenti, hanno così deciso di dare vita all’installazione interattiva La Fabbrica Fantasma.
L’idea è stata quella di far rivivere questo spazio con la sua storia: laddove adesso ci sono aule dedicate alla didattica di cinema, sceneggiatura, videogiornalismo, un tempo ci si dedicava alla lavorazione e alla produzione del tabacco.
Non erano studenti quelli che varcavano la soglia dell’ingresso ogni giorno, ma operai; quella classe operaia degli anni 50, in una Milano che aveva ormai dimenticato la guerra e viveva un periodo di rinascita.
E così, La Fabbrica Fantasma, un’installazione in Realtà Aumentata, accompagna lo spettatore ai diversi piani della struttura secondo un percorso guidato, ma non solo: lo induce a muoversi nello spazio e nel tempo. Rivive la giornata tipo di un lavoratore dall’ingresso e al superamento dei tornelli, al cambio negli spogliatoi, all’effettivo trattamento del tabacco. E come?
Grazie ad uno smartphone o ad un tablet, insomma ad un dispositivo di nuova generazione: si avvicina il proprio device ad un marker segnalato nell’ambiente e rilevato grazie ad una specifica applicazione. Dirigendo la fotocamera sul quel marker ecco che si apre un mondo: il mondo passato della Fabbrica.
Compaiono improvvisamente sul proprio schermo i racconti degli operai, si osserva il processo di produzione, si ascoltano i monologhi di chi sta per entrare dal Direttore nella speranza di non essere licenziato. È come stare al cinema, ma è tutto vissuto sul proprio dispositivo.
Lo spettatore fa esperienza di grande interattività: osserva i personaggi muoversi tra le foglie di tabacco, “togliere la costola senza rompere la foglia!” ripete ad alta voce la nuova arrivata; si sentono parlare gli operai con i dialetti e gli accenti più disparati, pugliese, milanese, napoletano. Testimonianza anche della grande vitalità e migrazione che si stava vivendo a quell’epoca. Si entra nelle storie e nelle diverse biografie con grande naturalezza, si documenta il cambiamento della condizione femminile sul luogo di lavoro, si fa esperienza di quello strano senso per cui i lavoratori si percepiscono quali “statali di eccezione”, cittadini/lavoratori al servizio di una realtà statale produttiva.
La visita si chiude con una grande fotografia di reparto che raccoglie gli operai incontrati durante il tragitto.
E così si chiude quella riflessione tra mondo del cinema e dell’architettura operaia: dall’esplorazione esterna che al cinema stesso ha dato inizio (si pensi infatti alle prime immagini cinematografiche in assoluto “La Sortie de l’usine” dei Lumière), si arriva all’indagine interna, si entra e si esplora non solo l’ambiente, ma anche la storia di chi quella fabbrica la rendeva viva.