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Fisura is Proud
Domanda – Giambattista Brizzi – Fisura affronta un tema quale la coscienza e la responsabilità educativa sia dell’architettura, sia della figura dell’architetto attraverso una visione forse un pò pessimistica dell’attuale realtà messicana. Una concezione distopica, già fortemente suggerita dal titolo, Fisura,che tratta di opposti e contraddizioni. Si tratta di temi che l’Europa affronta già da tempo e che ha portato ad una reinterpretazione dei nuovi approcci del “fare architettura”. Nonostante le differenze culturali, è possibile che le alternative europee possano suggerire nuove prospettive di intervento all’interno di una realtà messicana diversificata? Prospettive che portino soluzioni innovative e non solo elementi di novità?
Risposta – Chrystyan Romero – “Nè il Latino-Americano comunica la sua reale condizione di miseria all’uomo civilizzato, né l’uomo civilizzato comprende veramente la misera nobiltà del Latino-Americano” – Glauber Rocha
Qualsiasi proposta presuppone dei cambiamenti, cambiamenti che posso variare tra un corpo e l’altro, tra un territorio e un altro, fra un mondo antico ed uno nuovo. Le alternative europee cercano un ordine, una verità, mirano all’igiene, e anche a colonizzare attraverso ordini che non corrispondono agli obiettivi dei latinoamericani e nemmeno al loro più autentico destino.
Entrambi i due mondi non comprendono gli obiettivi dell’altro e molto meno il significato delle parole che forziamo di tradurre tra una lingua e l’altra, parole che non corrispondono al profondo significato di chi le pronuncia, le ascolta e le usa nel linguaggio quotidiano; nel nostro caso, parole come miseria e pessimismo potrebbero essere un buon esempio.
E proprio in questo modo gli spazi presentati nelle pubblicazioni di Fisura promuovono il riconoscimento dei nostri spazi quotidiani. Luoghi che l’architetto latino-americano non individua più da quando è stato immerso dalla pubblicazioni di altri spazi architettonici che non gli permettono più di riconoscersi e parlare con la sua metà.
Da qui, Fisura riflette per proporsi come una guida locale che sia una lettera aperta ad un fenomeno globale. Questa lettera è indirizzata agli architetti appartenenti agli altri mondi, che allo stesso modo hanno il diritto di entrare in uno spazio differente, senza predisposizioni a colonizzarlo, ma intenzionati semplicemente ad abitarlo.
Domanda – Federica Zatta – La nostra epoca ha visto un proliferare infinito di pubblicazioni, riviste, libri, dedicati all’architettura come fenomeno estetico di massa, in concomitanza con la progressiva perdita del suo ruolo politico e sociale. Da dove viene la voglia di dedicare parte di Fisura a tale ambito? E come si relaziona l’architettura alle altre forme d’arte e discipline visive che affrontate nella vostra rivista?
Risposta – Angel Badillo – Non ci piace pensare a Fisura come ad una rivista di architettura, quanto piuttosto ad un meccanismo pubblico. Ultimamente, nell’ampio panorama della progettazione, si è potuta notare una divulgazione massiccia e molto veloce di ‘prodotti’, grazie all’incredibile supporto degli strumenti di data sharing. Questa tendenza è stata seguita da una contrastante, profonda attenzione verso le questioni irrisolte in latitudini inusuali; essenzialmente, le principali ‘raffinerie’ di design si sono ritrovate a corto di di materia prima su cui lavorare, e dunque hanno iniziato a estendere i loro limiti, creando laboratori all’estero.
Gli architetti al giorno d’oggi si sono rifugiati in una piccola nicchia, dove sono signori e padroni; la verità è che non sono più sono riconosciuti dalla società, a causa di problemi economici e politici, maggiormente rilevanti dello status in sé. Da un punto di vista professionale, l’architettura fa parte di un piccolo gruppo emarginato, che non si distingue dagli artisti, ma nemmeno dalle “carriere serie”, nella dimensione sia temporale, sia sociale. Così, essendo consapevoli di tale posizione infelice, puntiamo a riconquistare la condizione multidisciplinare dei vari rami del design, il tutto con un interesse genuino, lasciandosi alle spalle tutte le tematiche inerenti al mondo delle “archistar”.
In generale, noi lavoriamo nei migliori interessi della cultura latino-americana, specialmente di quelli messicani. Per noi la sovrasaturazione di informazioni rischia di tradursi in una mancanza di conoscenza, al punto che riconosciamo diverse situazioni in cui si rivela necessario un punto di vista straniero, per rafforzare quello locale. Per quanto riguarda l’evoluzione del magazine, ci siamo trovati in un momento da dedicare alla divulgazione, poiché abbiamo bisogno di rendere la società messicana consapevole della propria evoluzione e -più importante- far sì che ne diventi parte.
In fin dei conti, citando un detto popolare, a chi vorresti dare la colpa? Ai politici? Ai legislatori? Agli architetti? Agli urbanisti? Ai progettisti? Ai paesaggisti? Lo stiamo almeno facendo nel modo giusto? Questo è il compito che, come rivista emergente, vorremmo aiutare a svolgere.