A Gwangju, nella Corea del Sud, dal 25 al 28 Novembre avrà luogo il neonato Festival autunnale ACT Festival; un festival che vuole essere una piattaforma, un momento di confronto, riflessione, indagine, perfomance, workshop, insomma un simposio per artisti audiovisivi, designer, operatori culturali che tentano di capire quale sia l’impatto delle nuove tecnologie nel campo artistico e del design.
Thomas Khun avrebbe infatti detto che il paradigma sta cambiando, che c’è bisogno di delineare, identificare, insomma capire quali sono i nuovi principi guida dell’era digitale nell’arte.
“Nothing quite beats meeting, learning, and sharing knowledge face to face”
è uno degli spunti di riflessione da cui sono partiti gli organizzatori che hanno dato vita a questo nuovo Festival.
Una compagine ed un team tutto internazionale: lo scambio e il dialogo avvengono anche al momento della creazione del Festival stesso. Gli operatori sono infatti di Berlino, Toronto, Londra e naturalmente Gwangju, Paese ospitante.
L’aria internazionale si deve respirare, le prospettive diverse si devono incontrare: saranno più di 60 gli artisti provenienti da tutto il mondo (tra i quali spicca Carsten Nicolai) che animeranno l’ACT Center, il cuore dell’evento.
Anche la scelta del luogo riflette una decisione accurata e consapevole da parte degli organizzatori: ACT center è parte dell’Asian Culture Center. Un centro amministrato dal governo coreano, uno spazio dove dialogano e convivono diverse istituzioni, ognuna mantenendo la sua indipendenza ma dando origine ad un’unica entità, compatta.
Un centro che intende mettere in comunicazione l’Asia e la sua espressione artistica e culturale con il resto del mondo.
Non a caso, questo spazio è stato identificato come rappresentante la rivolta democratica del Paese.
Sempre di dialogo si parla, politica e dialogo direbbe Habermas: qui il dialogo è la spinta necessaria per comprendere la relazione uomo-macchina nell’arte, per interrogare le discipline e gli strumenti dell’arte digitale.
Il Festival, infatti, ha un forte intento pedagogico: avvia una riflessione che indaghi come e cosa sta cambiando e che sia parallela al fare, all’uso e alla scoperta incessante delle tecnologie nell’arte, perché, aggiungono sempre gli organizzatori,
“Making begins in the mind’s eye – with the visualization of an idea.”
Diffonde conoscenza e competenza: mostra le opere realizzate dai grandi artisti contemporanei, ma le indaga con coscienza.
“Share, collaborate and inspire” è quindi l’intento ultimo dell’ACT Festival: scardinare l’ordinario, fare rumore, generare un terremoto che con un forte sconquasso dia carica e nuova spinta al concepimento di idee e categorie utili a indagare questo ambito artistico.
E non a caso, infatti, la kermesse avrà luogo a Gwangju che significa “La città della Luce”, perché si vuole far luce, fermarsi e illuminare sapientemente ciò che evolve e cambia troppo rapidamente: fermiamoci e riflettiamo.
Del resto, raggiungere la città sembra anche molto difficoltoso: non esistono aeroporti internazionali a Gwangju. Si ha tutto il tempo per pensare ed elaborare una nuova opera, una nuova idea, un nuovo sentire artistico per tutto il tempo del tragitto.