Henk Wildschut è un fotografo olandese nato ad Harderwijk nel 1967 che ha studiato alla Royal Accademy of Art di L’Aia. I suoi lavori sono stati esposti ovunque nel mondo, dal suo Paese d’origine a Londra, passando per Pechino, Roma, Shanghai, Praga fino a Sydney.
La sua caratteristica è quella di essere un fotografo che tende a tenere un certo distacco da ciò che appare dinanzi all’obiettivo, tende ad essere contemplativo e a non farsi trascinare dalla storia delle persone che fotografa o dalle situazioni.
Nel 2005 ha dato inizio a Shelter, una serie poi diventata libro nel 2010 e successivamente film (4.57 Minutes Back Home).
Questo progetto è un racconto che parte dal porto di Calais, una città del nord della Francia, in una zona di poche centinaia di metri quadrati nota come The Jungle.
Chi arriva in questa giungla ha sicuramente alle spalle ha una storia che l’ha indotto a scappare da ciò che era e da ciò che aveva. Molto spesso le persone che affollano questo luogo provengono dall’Iraq, dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Somalia, dal Sudan e dalla Nigeria, si fermano lì per poi ricominciare la parte più importante di quel viaggio, la traversata verso la Gran Bretagna in cerca di un futuro migliore.
The Jungle diventa il posto in cui ricominciare sperare, in cui pensare che sia ancora possibile farcela e, mentre si attende la possibilità di coronare quel sogno, si costruiscono rifugi temporanei con materiali di scarto trovati per caso.
Ed ecco che Shelter diventa il viaggio alla ricerca di persone ferme che aspettano di andare per ricominciare a vivere.
Per me, l’immagine del rifugio (shelter) – ovunque sia in Europa – è diventato il simbolo della miseria che vivono questi rifugiati
Il libro Shelter è stato premiato come miglior fotolibro olandese del 2009/2010 con il premio Kees Scherer e il progetto Shelter ha vinto il Doc olandese come miglior documentario.