Il rapporto tra arte e social networks è un tema tanto attuale quanto controverso. Un’istituzione come la Tate Modern, ad esempio, tocca il tema attraverso l’esibizione — in mostra fino al 12 giugno —Performing for the Camera, che esamina la relazione tra fotografia e performance, dal diciannovesimo secolo fino alla cosiddetta selfie culture di oggi.
La mostra alla Tate espone anche alcuni selfie di Amalia Ulman. Nata nel 1989 in Argentina da una mamma generation-X e un padre tatuatore e cresciuta a Gijón, in Spagna, studia alla Central Saint Martins dopo aver googlato “scuole d’arte a Londra”. Excellences & Perfections, il progetto grazie al quale ha iniziato ad acquisire notorietà, prende forma interamente su Instagram. Nel senso che quest’ultimo non viene sfruttato semplicemente come mezzo tramite il quale diffondere ad un più ampio pubblico delle immagini del progetto: il progetto coincide con Instagram stesso, si basa sulle dinamiche stesse che gli sono insite.
Tutto inizia nell’Aprile del 2014, quando la giovane artista pubblica un’immagine composta dal testo “Part I”, accompagnata dall’enigmatica caption “Excellences & Perfections”. Dei 28 followers che misero “like” all’epoca probabilmente nessuno era consapevole di cosa quell’immagine stesse a significare. A questo primo post ne sono seguiti in breve tempo altri che apparentemente non avevano nulla in più rispetto ai banali autoscatti di una giovane soggetta alle mode e a quella ormai comune ostentazione del sé.
Quando però ad un certo punto iniziano a comparire una serie di selfie che la ritraggono mezza nuda o in procinto di fare twerk, Amalia – selezionata giusto un anno prima dal noto curatore Hans Ulrich Obrist tra i rappresentanti più notevoli della ” generazione YouTube” – si trova sul punto di far tracollare la sua carriera in ascesa:
“Le persone iniziarono ad odiarmi”, afferma in un’intervista al Telegraph, “Alcune gallerie con le quali esponevo andarono fuori di testa e m’intimarono di piantarla perché nessuno mi avrebbe presa più sul serio. All’improvviso ero diventata questa t***a cretina perché mostravo il sedere nelle foto”.
“Posto quindi sono”, sembrerebbe il dictat odierno: se è social, allora è reale. Senza dar troppo peso a ciò che altri erano portati a credere di lei, Amalia continua a perseguire il suo scopo senza svelare niente a nessuno. La performance inscena una narrazione minuziosamente costruita. L’idea, secondo l’artista, nasce già nel periodo in cui studiava a Londra, epoca in cui però non avrebbe avuto abbastanza fondi per realizzarlo. Un mesetto l’ha trascorso solo a raccogliere materiale. La messinscena si articola in un inizio, una climax ed una fine. Il personaggio interpretato non è uno ma tanti, che si evolvono e passano allo stadio successivo del racconto in maniera graduale: da ingenua kawaii-tumblr girl appena trasferitasi dalla provincia a fashion addicted-aspirante “It-girl” a Los Angeles, fino al culmine, raggiunto con la parte da simil-Kim Kardashian disperata per una rottura, cui succede la redenzione attraverso la vegan-natural-chic à la Gwyneth Paltrow. Ognuno di questi stadi vuole essere rappresentativo di uno stereotipo alimentato proprio dal mezzo di comunicazione del quale l’artista si serve. Analogamente a quanto fatto negli anni settanta da Cindy Sherman, ogni scatto indaga un cliché. A differenza della Sherman, tuttavia, il personaggio non si ferma ai quintali di trucco indossati per imitarlo e alla realizzazione della foto: durante i mesi in cui portava avanti Excellences & Perfections Amalia si è davvero tinta i capelli platino-Kardashian, ha davvero seguito una dieta e lezioni di pole dance: la preparazione richiedeva ore e ore di lavoro settimanale, forse in maniera più simile a quanto fatto da una body artist come Orlan, che nel corso degli anni ’90 ha subito delle vere e proprie operazioni chirurgiche per modificare i propri connotati fisici. Se non altro almeno l’operazione chirurgica al seno documentata da Amalia Ulman è fittizia e ispirata piuttosto da un periodo di degenza dovuto ad una seria frattura riportata a seguito di un incidente stradale.
Il punto dell’opera della Ulman è che solleva una serie di interrogativi nei riguardi del rapporto tra arte e nuovi mezzi di comunicazione. La questione, secondo il critico Ben Davis, è alquanto complessa dal momento che persino dei social media abbiamo una definizione più chiara di quanto sia definibile come “arte” e, per farla breve, il rapporto tra i due implicherebbe l’associazioni di due campi con logiche, modalità espressive e fruitori molto diversi, se non opposti. Tuttavia bisognerebbe aggiungere che l’appropriazione di nuovi media non sia nuova nel campo dell’arte, volendo citare, ad esempio, quello che faceva negli anni ’70 Chris Burden con i suoi TV commercials.
“L’arte contemporanea deriva da condizioni e influenze peculiari della nostra società. In quelle occidentali molti di questi parametri sono formati dalla tecnologia digitale. È inevitabile, quindi, che gli artisti siano influenzati da quest’ultima e da internet”,
riferisce il giornalista e curatore Tom Jeffreys citando Valentina Fois, curatrice dell’ex-galleria la Scatola a Londra e gestrice di una serie di residenze digitali sul sito stesso della galleria. Per lo stesso Jeoffreys la difficoltà di lettura della relazione arte-social media deriverebbe dal fatto che le nostre vite sono vissute oggi attraverso immagini che, almeno formalmente, sono indistinguibili dall’arte. Tornando alla Ulman, il fatto in sé di pubblicare post volutamente grotteschi, trash, SWAG a seconda del caso, è una tendenza piuttosto comune tra diversi utenti amatori che di certo non ne fanno un’arte. Ciò che distingue l’artista argentina è, oltre all’intenzionalità dell’atto artistico, il fatto che abbia intavolato un vero e proprio gesamtkunstwerk, indossando i panni che interpretava, mettendo propriamente in berlina la reale artificiosità che risiede dietro questo sistema di vanità e ricerca ossessiva di conferme che passa attraverso social networks come Instagram.
Al di là di Excellences & Perfections, la Ulman prosegue le sue esposizioni in gallerie in giro per il mondo, per lo più site-specific. Sebbene pare che il suo account Instagram abbia sostituito i finti selfies a micro-serie incentrate su qualche ossessione quotidiana o qualche ispirazione fortuita, come l’incontro con un piccione diventato protagonista di diverse foto, sotto sotto, anche di fronte alle ultime immagini che la ritraggono col pancione della gravidanza, resta inevitabilmente il dubbio di quanto reale o piuttosto realistico sia quello che ci mostra.