Le montagne, i campi, i vagoni rossi della ferrovia che punteggiano il verde acceso in primavera e macchiano il bianco d’inverno, le case coloniche e gli edifici industriali disposti secondo le ragioni della periferia. Questo è il contesto che ospita il Museo Liner di Gigon & Guyer, commissionato dalla Fondazione Liner per conservare le opere di Carl Liner figlio e Carl Liner padre. Il profilo dell’edificio genera immagini evocative e suggerisce significati che al contempo vengono messi in crisi. L’aspetto formale del volume richiama gli edifici industriali, con la forma a zig-zag delle coperture, e i prospetti allineati delle case cittadine. La sequenza degli shed viene interrotta tra la seconda e la terza campata da uno iato che ne sospende la continuità formale. È interessante riflettere sulla relazione tra l’aspetto formale e il concetto di forze descritte da Rudolf Arnheim. Pensando ad un campo di forze, orientate in diverse direzioni, anche la forma può generare una tensione analoga, definendo allo stesso modo un sistema in equilibrio: ciò è possibile attraverso la forza generata da oggetti che “spingono” in direzioni diverse, compensandosi nell’unità.
Dei sei shed, il primo ospita un lucernario, che rivolgendosi a Sud si oppone alla direzione dei restanti. L’orientamento, così come la maggiore dimensione e la forma scatolare, lo fanno entrare in tensione con gli altri, senza privare l’edificio della sua unità formale.
La dimensione degli shed è condizionata dagli ambienti del museo e ciò provoca ancora un modificazione tipologica contrastante, poiché sottolinea gli adattamenti della forma specifica rispetto al modello dell’edificio industriale evocato. Questo aspetto, osservando l’edificio dal sottopasso della ferrovia, è stato attenuato variando le dimensioni dei volumi che crescono nella direzione dell’ultimo shed.
Museum Liner from Gigon/Guyer on Vimeo.
La planimetria è composta da dieci ambienti divisi da un setto murario asimmetrico, le cui piccole dimensioni consentono di esporre quadri grandi sfruttandone l’altezza. Le pareti sono bianche, arricchite con pigmenti gialli e rossi e il pavimento grigio, in cemento, presenta i segni dei movimenti del livellamento. L’illuminazione è modulata dai lucernari in vetro acidato, che presentano una struttura scatolare con tubi al neon e cortine in tessuto per controllare la luce artificiale e naturale. Un altro aspetto importante che lega la forma, intesa come tensione orientata, e il contesto, è la presenza di due vetrine orientate a Nord e a Sud.
Il corpo a Sud inquadra il paesaggio rurale, diventando parte integrante dell’ambiente interno: si percepiscono i colori delle stagioni, le condizioni atmosferiche, la diversa luminosità delle ore del giorno attraverso i segni che traccia sulla parete. Un luogo che muta continuamente e che non è mai lo stesso. La vetrata a Nord inquadra i binari dove sostano i vagoni rossi del treno di Appenzell con i quali c’è una forte relazione che condiziona la posizione delle opere: in questa sala non sono previste poiché il rosso del treno contrasterebbe con i colori dei dipinti.
Un elemento fondamentale che lega l’unità dell’edificio e accentua il dialogo con il paesaggio è l’uso del rivestimento. Sono state utilizzate lastre di acciaio cromato e satinato trattate con getti di polvere di vetro che, al variare delle condizioni meteorologiche mutano l’immagine dell’edificio; esso muta come l’ambiente circostante con le qualità riflettenti che il materiale offre. Le scandole di eternit, un richiamo al modello di riferimento, sono poste secondo un disegno diverso in prossimità dei due aggetti vetrati. La quiete del paesaggio si sposa con le forme e le relazioni apparentemente semplici dell’edificio, dal 1998 il Museo di Appenzel.