Dal ‘700 l’uomo si avvicina alle burrascose onde del mare, ai vulcani in eruzione, al fragore dei temporali, al sublime, terribile ma affascinante paesaggio. Non solo calmi orizzonti ma anche impetuose ire della natura. È questo che attrae l’uomo, il bisogno primordiale di essere in simbiosi con la Terra. Ed è poi la natura a ribellarsi se l’essere umano tenta di dominarla, di addomesticarla. Siamo calamite di una Terra che ci terrorizza con le sue calamità.
Sabato 29 ottobre la galleria Matèria di Roma presenterà CALAMITA/À, esposizione fotografica a cura di Gianpaolo Arena, Marina Caneve e Niccolò Fano da un progetto di indagine e ricerche nel territorio del Vajont, affetto nel 1963 da una grande catastrofe naturale.
Nomen Omen è una locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa “il nome è un presagio” e deriva dalla credenza dei Romani secondo cui nel nome era indicato il destino delle persone e delle cose. La montagna su cui è ancorata la diga del Vajont, tuttora integra e stabile, porta il nome di Monte Toc, ovvero monte marcio, putrido, franoso. Lo stesso nome del Vajont ha oggi acquisito un’accezione e un valore catastrofici nella coscienza collettiva. Vajont, in origine, era la valle attraversata dall’omonimo torrente, prima che la catastrofe, manifestatasi violentemente la notte del 9 ottobre 1963, lo rendesse tristemente noto.
“Il Grande Vajont” ha nel suo nome il manifesto programmatico dell’ambizioso progetto che avrebbe dovuto sfruttare le riserve di acqua delle Dolomiti per servirsi dell’energia gravitazionale sotto forma di potenza idrica e rifornire così di elettricità Venezia e il Triveneto. La presenza ingombrante di una moderna infrastruttura e il tentativo di un paese di essere industriale ed inseguire il progresso, si trasformano in pochi minuti in un evento catastrofico capace di cancellare luoghi, memorie e destini. La diga ha retto perfettamente alla violenza del crollo della montagna nell’invaso del Vajont. Dove l’onda distruttiva è passata, nulla è rimasto integro, tutto bloccato in un eterno presente. L’identità di un luogo, normalmente soggetta a progressivi mutamenti e trasformazioni, in questo caso è stata brutalmente cancellata lasciando spazio ad un nuovo, irrazionale, caotico assetto urbano.
In questo contesto, il progetto CALAMITA/À, a cura di Gianpaolo Arena e Marina Caneve, nasce dall’urgenza di investigare il territorio in cui l’evento catastrofico ha alterato ogni equilibrio, spezzato la corretta e ordinata linea della scansione temporale e frammentato i luoghi, le storie e le vite. È uno strumento d’indagine territoriale che attraverso una ricerca programmata vuole approfondire i mutamenti in corso, generare dibattito, rivelare criticità, attirare interesse e conoscenza attorno a un luogo nodale ancora in via di definizione. Morfologia del territorio, orografia, infrastrutture, architettura, contesto sociale sono solo alcuni degli ambiti di analisi. Arte, sociologia, urbanistica e fotografia concorrono alla definizione dell’identità del territorio con un approccio multidisciplinare aperto. Attraverso una pluralità di visioni CALAMITA/À mira a far sì che il territorio preso in esame diventi un laboratorio e un luogo d’osservazione privilegiato.
Le fotografie in mostra, tratte da un repertorio prodotto da venti artisti, si interrogano sul destino di questo territorio e dei suoi abitanti. Lo scatto non aspira a catturare l’istante, bensì a infrangere la veste di cristallo che ha immobilizzato il paesaggio in un eterno presente. Sebbene diversi, gli sguardi rivelano un sentimento comune spesso appannato, cupo, tetro, risolto in inquadrature di paesaggio fortemente eloquenti nella loro essenzialità. Si ritorna a ritrarre il sublime e le sue conseguenze con la consapevolezza che l’uomo è oggi causa della forza devastatrice della natura. L’intento della missione è sensibilizzare alle tematiche legate alla negligenza umana, denunciare l’inadeguato sfruttamento energetico su una natura che sofferente riconquista i suoi spazi, chiarire che nel bene e nel male siamo ancora figli di questa terra. Far leva sugli eventi passati, per non sottostare ad un presente indifferente e disattento. Osservare, studiare, vivere gli eventi da molteplici punti di vista. Seguire la freccia del tempo, partendo dal passato, lungo il presente per dare possibilità migliori al futuro.
“Abitiamo un mondo in cui il futuro promette infinite possibilità e il passato è irrimediabilmente dietro di noi. La freccia del tempo… è lo strumento della creatività in cui la vita può essere compresa.”
Peter Coveney e Roger Highfield
Fotografia: Andrea Alessio, Gianpaolo Arena, Sergio Camplone, Marina Caneve, Alfonso Chianese, Céline Clanet, Scott Connarroe, François Deladerriere, Marco Lachi, Michela Palermo, Max Rommel & Marissa Morelli, Gabriele Rossi, Petra Stavast, Jan Stradtman, Maaike Vergouwe Daan Zuijderwijk, Cyrille Weiner & Giaime Meloni
Urbanistica: Latitude Platform
RECAP:
CALAMITA/À
Matèria Gallery,
Via Tiburtina 149, 00185 Roma
29 ottobre – 3 dicembre