Architetto e utopista, raffinato dandy e ribelle impenitente, Claude Parent rappresenta una delle figure più complesse e tuttora inesplorate del panorama architettonico del secolo scorso. Parafrasando Bernard Tschumi, è stato una figura tutt’altro che marginale, piuttosto una figura che ha sempre e volutamente scelto di lavorare nei margini e che dai margini ha tratto motivi di commistione tra discipline diverse e fondamentali intuizioni. Parent si è mosso tra le pieghe dell’avanguardia e della ricerca architettonica più avanzata, in un campo che ha sempre negato di definire utopico, ma piuttosto ‘di competenza delle idee’.
Il suo ruolo era mostrare che un’alternativa era possibile. Si proclama architetto ma rifiuta di essere ammesso all’Ordine e di ottenere un diploma, disprezza il professionismo e gli aspetti più commerciali della carriera, ma allo stesso tempo realizza centri commerciali e studi di centrali nucleari per il governo francese.
“Gli altri hanno il potere, il denaro, la gloria, il benessere. Voi non avete nulla, ma siete la sorgente di liberazione del modo di vivere e di pensare.”
Spirito libero e anticonformista, ai colleghi ha sempre preferito la compagnia di artisti, da Nicolas Schöffer a André Bloc fino a Jean Tinguely. Si riconosce nell’arte cinetica e negli approcci di Yaacov Agam e Pol Bury, dai quali apprende i concetti di instabilità e disequilibrio. Lavora per anni a una galleria di visioni comuni con Yves Klein, con il quale riflette sul valore del vuoto e sulla consistenza dell’architettura, per poi instaurare un sodalizio altrettanto fecondo con il filosofo Paul Virilio. Insieme fondano il gruppo Architecture Principe e pongono le basi di quella che nella sua formulazione più matura diventerà il suo lascito più innovativo e stimolante: la funzione obliqua. Una collaborazione meno celebre di quella tra Eisenman e Jacques Derrida ma dagli esiti altrettanto dirompenti: Vivre à l’oblique è la risposta al lecorbuseriano poème de l’angle droit, è il totale capovolgimento delle coordinate spaziali che fino a quel momento avevano regolato lo spazio architettonico.
È il superamento dello spazio euclideo in favore di un ripensamento del modo di vivere, per la creazione di luoghi dalle possibilità aperte nei quali gli individui siano capaci di muoversi liberamente, luoghi basati su principi psicologici anziché geometrici. Lo spazio diventa un elemento attivo, una componente da sfidare ed esplorare, per una rinata consapevolezza della propria fisicità. Villa Soultrait, ovvero la maison triangulaire, ne anticipa le conquiste, proponendo una falda inclinata come terreno di conquista aperto all’esperienza, ma è Casa Drusch che decostruisce i riferimenti dello spazio ruotando il classico cubo architettonico in una configurazione dinamica. Tutta la forza dell’incontro con Virilio si manifesta nel brutalismo della chiesa di Sainte Bernadette a Nevers, un rifugio ispirato dal linguaggio dei bunker della costa atlantica e basato su continuità dell’involucro tra interno ed esterno, frattura e spazio obliquo.
L’obliquità, qui come nei successivi centri commerciali di Reims e di Sens, compare in tutta la sua manifestazione più concreta, come concetto di continuità ancorato al cemento. E’ invece in altre opere che appare in modo più sottile e forse più riuscito: l’appartamento per André Bellaguet e Casa Parent attuano in pieno quello che è diventato uno stile di vita, non un metodo formale, ovvero vivere l’obliquo. Parent affronta l’inesplorato e ci riporta visioni di superfici che obbligano a risvegliare i sensi e vivere in modo differente, senza più mobili e arredamento per una totale liberazione dei rapporti umani e delle relazioni sociali, per un totale ‘rifiuto dell’ostacolo alla libertà del percorso degli uomini’.
“[…] ricominciare differentemente… Non con me certo, io sono ormai stanco di aver sempre avuto ragione troppo presto.”
La sua eredità sta tutta nella freschezza polemica del suo pensiero e nell’aver aperto le porte a una sperimentazione che va oltre il piano orizzontale e la parete verticale, nel senso della continuità e dello spazio come avventura, cui Odile Decq e Jean Nouvel, Bernard Tschumi e l’Opera House di Oslo come il Rolex Center di SANAA sono debitori.
L’importanza della funzione obliqua sta nel non essere un’utopia ma nel volersi fare invece portatrice di un messaggio di affrancamento dello spazio ancora attuale. Il Padiglione della Biennale di Venezia 1970 resta come monito e sfida ultima di uno spazio liberato dai suoi dogmi, come esempio di una nuova spazialità appena nata che sta imparando a muovere i primi passi. Che la strada sia lunga, caro Parent, è il migliore augurio che ci sentiamo di rivolgerti, fino al giorno in cui la quotidianità possa finalmente arrivare ad includere l’obliquo, l’instabile e l’inatteso.