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Sacred spaces – Kenro Izu immortala lo scorrere del tempo

  • Posted on 10 Ottobre 2018
  • Giambattista Brizzi

Negli anni in cui Instagram ha trasformato la fotografia in pillole istantanee in grado di raccontare il mondo in presa diretta dove immagini spontanee, agghindate di hashtag, preferiscono la sbavatura al rigore compositivo, le mostre fotografiche di Kenro Izu raccontano della sua ossessiva ricerca di uno scatto in grado di cogliere l’unicità del luogo. Sono fotografie che parlano di Silenzio, Sacralità e Ignoto nate solo grazie alla raffinata indagine artistica che lo ha spinto ad esplorare mete sempre più lontane, ricercando luoghi e monumenti dove fosse percepibile la costante tensione dell’uomo verso il divino.

Dalle piramidi d’Egitto alle antiche pietre di Stonehenge, dalla città di Angkor in Cambogia ai templi buddisti in India e Indonesia, dal deserto della Siria alle alte vette del Tibet. Sono luoghi di cui Izu coglie tutta la smisurata forza spirituale senza dimenticare una cortese delicatezza per varcare la soglia di un’intimità in cui la figura del fotografo, anche se accettata, può comunque esserne una violazione.

“Spesso mi domandano perché fotografo monumenti. È ciò che più si avvicina a qualcosa capace di durare in eterno. Ma se si guarda bene c’è una sottile linea di confine tra la pietra e la sabbia circostante. Nemmeno la pietra è eterna, come ci insegna il buddismo tutto è transitorio. La nostra vita, quella di un fiore, perfino quella di un albero o di una pietra non sono altro che un momento nell’eternità”

Eastern Island 9, 1989_Kenro Izus
Mexico 13, 1987_Kenro Izu
1981 B 69. 9x12
111409_3

Il suo lavoro si articola su diverse tematiche ma, con la stessa coerenza che contraddistingue le sue fotografie, segue un filone narrativo molto preciso: è una ricerca sulla spiritualità dell’essere umano, superando ogni legame ad una fede o religione per aspirare ad una essenza superiore che supera i confini del mondo fisico, percepibile e noto. Alla base di Sacred Spaces c’è tanto l’ispirazione alle immagini del vittoriano Francis Frith e alle antiche spedizioni fotografiche in Egitto quanto una personale ricerca verso l’essenziale, verso i segni più ancestrali che rimangono al mondo.

India 723, 2012_Kenro Izu
101466_4
India 639, 2012_Kenro Izu
Tibet 75, 2000_Kenro Izu
BUR 39, 1996_Kenro Izu

Kenro Izu è considerato uno dei più esperti stampatori esistenti dell’antica tecnica del platino palladio, e a causa delle dimensioni dei negativi di grande formato e della dimensione del banco ottico, trasporta solo pochi negativi con sé per catturare l’essenza spirituale del soggetto. Affianco ad una fertile carriera commerciale riesce tuttavia a sviluppare un personale percorso artistico in cui, in contrasto con le decine di foto che i fotografi moderni scattano ad ogni soggetto, la singola fotografia nasce solo dopo un’attenta e paziente riflessione. Sono Fotografie che parlano di luoghi lontani, a cui tutti aspiriamo per sfuggire dalla fugacità e ripetitività delle nostre azioni quotidiane per raggiungere un attimo di quiete e di silenzio.

E dopo il lungo cammino, superati gli ultimi ostacoli, alzi lo sguardo per contemplare come l’enorme pietra, radicata saldamente al suolo, traccia con pochi segni ancestrali l’ultimo contatto con il divino. Un respiro profondo spegne i rumori circostanti e solo il soffio del vento ti avvolge. È in quel preciso attimo che Izu scatta la sua fotografia per immortalare in una singola immagine la bellezza assoluta dello scorrere del tempo.

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Giambattista Brizzi

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