L’arte si sta trasformando. Ogni giorno. E ogni giorno nasce un artista. Questo purtroppo – o per fortuna – esige una selezione sempre più sistematica e severa, se cerchiamo qualcosa che si possa avvicinare a quello che definiamo “perfezione”. Ma cos’è la perfezione? L’origine del termine è in parte greca (teleiotes) e in parte latina (perficio). Entrambe le etimologie, però, ci rimandano al termine “compimento”, “completezza”; ma nemmeno Aristotele, nel quinto libro della Metafisica, è riuscito a darne una singola definizione, bensì tre distinte.
Mario Cravo Neto nasce il 20 aprile 1947 a São Salvador da Bahia de Todos os Santos, in Brasile. A 17 anni, nel 1964, si sposta a Berlino con il padre, Mario Cravo Jr., scultore, che aderì al programma della Residenza d’Artisti. Qui scoprirà il mondo dell’arte, concentrandosi sulla scultura e la fotografia; soltanto un anno più tardi, appena rimpatriato, vincerà un premio alla prima Biennale di Bahia, montando inoltre la sua prima esposizione solista.
Quello che Neto ha sempre cercato nella fotografia, prima che ci lasciasse nel 2009, è forse ciò che uno scultore fatica a trovare: il compimento dell’opera. Basta guardare Io ballo da sola di Bernardo Bertolucci, oppure pensare a quello che diceva Michelangelo Buonarroti riguardo il suo stile “non finito”: la scultura risiede già nel marmo; spetta poi all’artista metterla alla luce.
Per la fotografia, il discorso è lievemente diverso. Un fotografo è circondato in ogni singolo istante dal “marmo”, e il suo compito è “mettere in luce” ciò che normalmente è sotto agli occhi di tutti, con uno “scalpello” che è la sua macchina fotografica. Ciò che distingue l’arte di Neto, però, è proprio la trasposizione fotografica della scultura. I suoi scatti, esclusivamente square format, sono incentrati su soggetti/oggetti in posa, che richiamano in modo altisonante la dimensione statuaria. La sua predilezione per i particolari e l’uso di obiettivi con diaframmi molto aperti ci permettono di osservare da vicino tutto ciò che lui decide di mostrarci, costruendo e progettando ogni fotogramma. Insomma, una fotografia meravigliosamente simbolica, di cui però non possiamo dire con certezza se abbia raggiunto il suo scopo. Ma la chiave della “perfezione” – se esiste – è infatti molto più semplice di quanto può apparire, e Mario Cravo Neto ce lo dice: siamo tutti liberi di interpretare. E non solo quello che viene etichettato come “artistico”, ma anche quello che riteniamo quotidiano, o addirittura troppo banale perché possa essere degno del nostro sguardo.