Tra il 1969 e il 1970, Michael Heizer, pone nel deserto del Nevada la sua opera più nota, Double Negative: due lunghi solchi profondi 15 metri scavati con le ruspe come a formare due canyon artificiali in asse tra loro e solcati nel mezzo dal declivio naturale del terreno.
Se ad oggi, con un occhio di riguardo a ciò che Biennali ed esposizioni varie ci propinano annualmente, il confine tra “arte” e “design” sembra spesso confuso, ancor più indistinta sembra la linea d’orizzonte tra i due termini se preceduti dalla connotazione “land”.
Come afferma lo storico dell’architettura Maurizio Gargano in “Questo è paesaggio. 48 definizioni” di Franco Zagari: <<La questione del progetto del paesaggio ̶ o dell’architettura del paesaggio ̶ nonostante riesca a stimolare la ricerca progettuale verso ulteriori o nuovi universi di senso, disorienta la ricerca di una univoca definizione. E questo accade particolarmente se si dilata l’originaria accezione anglosassone di landscape architecture verso quelle di landscape design, land architecture, landform building, progettazione dello spazio in between o nelle ancor più ampie definizioni di “ambiente”, “territorio”, “parco”, “parco pubblico”, “giardino”, senza trascurare la vischiosa categoria di “arredo urbano”.
Un’opera come Double Negative, che progetto di paesaggio non è, può però essere considerata landscape design, in quanto “modella il terreno”. E inoltre suscita innegabilmente, nell’osservatore, forti suggestioni e riflessioni circa un tema portante della progettazione del paesaggio: il vuoto.
I due solchi gemelli creano tra di loro un vuoto, uno “spazio negativo”, per cui, come nell’immagine in cui le sagome assumono allo stesso tempo la forma di due profili o di un vaso, non è chiaro se l’opera sia più lo spazio attorno o quello tra i solchi. Questi, oltre a separare tra loro due lembi di terra a precipizio, sono a loro volta attraversati dal vuoto naturale del declivio, creando così un “doppio negativo”, un’assenza di materia doppiamente simmetrica.
Come Fontana “scolpiva” le sue tele con tagli attraverso i quali lo spazio bidimensionale accoglieva la terza dimensione, lasciando l’infinito “fluire” attraverso i tagli, così i solchi di Heizer tagliano l’enorme tela degli altipiani del deserto del Nevada aprendo, col vuoto, lo spazio all’Infinito.
L’ opera appartiene oggi al MoCA, Museum of Contemporary Art di Los Angeles, invitato dall’artista a non esporre immagini che spingano il visitatore ad evitare di conoscerla attraverso l’esperienza fisica sul luogo e a non intraprendere nessun intervento conservativo della stessa per lasciare invece che essa venga reclamata dalla terra tramite l’erosione degli agenti atmosferici.