Parete bianca, black markers e la revolution è ON.
Una rapsodia di testi e immagini che fanno quasi esplodere le pareti dei diversi musei del mondo (dal MACRO di Roma, alla Tate Modern, al Moma) su cui Dan Perjovschi interviene per raccontare e denunciare, con ironia e cinismo, quello che accade nel mondo.
Dan nasce a Sibiu, in Romania, nel 1964. Comincia a lavorare a Bucarest nel 1991 come disegnatore sul magazine rumeno “22”.
Il suo lavoro nasce dalla lettura dei giornali, dall’osservazione di ciò che gli accade intorno.
Da sempre annota le sue idee in piccoli diari, ma dal 1997 (e in particolare dalla grande installazione per la Biennale di Venezia del ’99) comincia a riportare e ingrandire quegli schizzi su parete, invitando il pubblico ad una lettura simultanea e globale del suo lavoro, frutto di spunti di diversa origine.
Il suo obiettivo è sempre stato quello di rivoluzionare il disegno, di mettere in discussione la separazione tra l’arte “alta” e “bassa”, di sfatare il mito dell’opera d’arte come bene-feticcio da collezionare.
La carica espressiva e l’immediatezza della vignetta satirica e della battuta di spirito catturano lo spettatore che si trova ipnotizzato in un vortice di segni, disegni e parole, il cui fascino, la spontaneità, la semplicità della comunicazione e quella immediatezza quasi infantile riescono a rendere accattivanti anche argomenti pesanti come la crisi economica globale.
Il suo lavoro è profondamente legato alla realtà del presente, ne è l’ironico commento, un’interpretazione pungente che possiede la pregnanza di un’accusa forte ma sottile, che genera, in chi ci si trova di fronte, l’urgenza e la necessità di dover cambiare le cose.
Una volta in loco, sfrutta ogni possibilità spaziale, definendo nuove dimensioni degli ambienti in cui lavora: pareti, finestre, pavimenti, vetrate, soffitti all’interno e all’esterno di musei, di istituzioni e di gallerie, in cui fa fluttuare le sue vignette, seguendo l’architettura che le contiene e trasformando ogni suo intervento in un progetto site-specific.
Economia, religione, politica, cultura, questioni nazionali e mondiali, nulla è risparmiato. Attraverso la dinamica della contrapposizione, Dan smaschera le asimmetrie del reale, ne denuncia i vuoti e le contraddizioni, sbeffeggia senza mezzi termini il mito della tecnologia, il paradosso del turbo-consumismo con cui la società postmoderna tenta di disinnescare i rischi della recessione e lo stesso art-sistem, di cui lui, in quanto artista, è inevitabilmente parte, ma da cui riesce in qualche modo a svincolarsi.
«I miei lavori sono esibiti in musei, centri d’arte, spazi alternativi, biennali e qualche volta nelle gallerie, ma in ogni caso non sono vendibili. I miei disegni vengono cancellati, lavati via o coperti ogni volta […] Critico l’importanza attribuita al termine ‘mercato’ nel sintagma mercato dell’arte. Mi considero esterno ad esso e lotto duramente per mantenere la mia indipendenza». Con queste parole l’artista spiega come sia possibile operare con coerenza e credibilità in quel sistema dell’arte di cui, spesso e volentieri, denuncia i meccanismi corrotti e lesivi.
Certo, però, che l’arte contemporanea sia uno degli ultimi “luoghi sacri” della libertà di espressione, Dan rivendica il ruolo dell’artista in quanto responsabile del miglioramento della società, un onere e un onore spesso sottovalutato o dimenticato.