Enrica de Nicola, iscritta alla Scuola Romana di Fotografia, è un’abile e poliedrica fotografa di Formia. I suoi lavori sono una efficace combinazione di reportage di viaggi, ritratti, paesaggi e architettura. Anche lei è stata vittima di una nostra tempesta di domande.
Scioglierei un po’ il ghiaccio chiedendoti quando e perché hai iniziato ad interessarti di fotografia. Ho visto che hai un bel parco macchine, quindi se le hai ereditate o se ti sei comprata tutto per conto tuo.
Avevo una vecchia telecamera con cui giravo dei video nella mia stanza. Pasticciavo con Photoshop, Premiere e After Effects, e ho iniziato ad iscrivermi a diversi siti, tra cui Flickr. Dopo un po’ ho cominciato a prenderci e pian piano ho scoperto la fotografia. Ho iniziato ad appassionarmi sempre di più, spostando la mia attenzione dalla singola immagine al racconto fotografico. Le macchine in realtà sono poche e malandate: uso sempre di più la hasselblad, che è un gentile regalo di mia madre.
Dando un’occhiata ai tuoi portfolio, si nota un’evoluzione notevole delle tematiche che hai affrontato. A cosa è dovuta questa tua continua ricerca?
Come dicevo è stato un percorso poco lineare. Quando ho cominciato a scattare fotografie ero attratta più o meno da tutto, non ragionavo sulla connessione tra le immagini, ma prendevo la cosa come un esercizio e con un approccio molto emotivo. Credo che quello che sto facendo adesso rappresenti una sistemazione di tutti gli spunti raccolti in modo caotico.
Schierati un po’. Digitale o analogico?
Analogico. Credo che soprattutto nella ricerca personale contribuisca ad impreziosire il lavoro. La pellicola ti obbliga a previsualizzare con più attenzione.
Studio o all’aperto?
Tutti e due.
Negli ultimi anni hai documentato alcuni tuoi viaggi, in particolare Oslo, Berlino e le montagne austriache. Cosa ti è rimasto di queste regioni (a parte gli scatti che ci hai regalato)?
Un sacco di negativi da sviluppare, scarpe distrutte, depressione post rientro. E soprattutto ho superato la fobia dell’aereo, una liberazione.
Parlaci un po’ dei tuoi ultimi progetti fotografico-architettonici, in particolare Urban Pattern e IMY: come li hai concepiti, quanto tempo ti hanno richiesto e che responso hanno avuto.
Urban Pattern è nato come progetto scolastico. Cercavo un modo originale per rappresentare il quartiere Eur di Roma. Nonostante il caos io continuavo a vederci un ordine ossessivo e psichedelico, il risultato è una specie di catalogo di trame urbane. Mi piacerebbe continuare, ma per questo aspetto di passare al banco ottico. IMY è in fase di costruzione. È un progetto sul rapporto tra l’architettura della periferia e il vuoto. Le prime immagini sono state scattate a Berlino per puro caso, poi ho proseguito con Roma e Madrid. Ora è un anno che ho cominciato. Spero di ripartire presto per un’altra città..
Nonostante tu ora studi fotografia a Roma, molti appassionati hanno iniziato come te, appoggiandosi ai mitici flickr, tumblr, carbonmade e cargocollective. Consiglieresti di seguire le tue orme al giorno d’oggi?
Nì… flickr lo considero un po’ una trappola. È sicuramente una bella vetrina per i propri lavori, ma mi pare che tutto si basi sulla popolarità che riesci a raggiungere piuttosto che sul lavoro che fai. Spesso m’imbatto in fotografie veramente belle che non vengono minimamente considerate a scapito di immagini che ripropongono sempre gli stessi clichés. Ora preferisco Cargocollective e Behance, sono meno caotici e permettono di organizzare le immagini in progetti.
Last but not least, la prossima esposizione che hai in programma – se ce ne sono in vista.
Per l’esposizione aspetto di avere altro materiale, ma sicuramente ruoterebbe attorno ai progetti di architettura. Spero di organizzare qualcosa per la fine dell’estate, magari nella mia città.