“Quest’uomo, che parve non contare niente durante tutto il XIX secolo, potrebbe bene dominare il XX“, affermava il poeta e scrittore avanguardista Guillaume Apollinaire a proposito del conte Donatien-Alphonse-François de Sade, anche conosciuto come Marchese de Sade, autore di romanzi in cui le più violente passioni, perversioni e nefandezze umane sono portate ad un’esasperazione tale da avergli meritato i natali del termine “sadismo“.
Questa figura controversa, che continua a shockare i contemporanei, incarnazione del perfetto libertino spregiudicato, vissuto dentro e fuori galere e manicomi lungo il secolo dei lumi, a cavallo tra Rivoluzione Francese e Impero Napoleonico, è oggi filo conduttore di un’esposizione inaugurata al Musée d’Orsay di Parigi il 14 ottobre ed in corso fino al 25 gennaio 2015.
Entrandovi, il visitatore viene inghiottito in una sala buia, allestita su ambo i lati da schermi trasparenti che propongono spezzoni di film più o meno direttamente ispirati a Sade: “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini, “Les yeux sans visage” di George Franju, “Dr Jekyll and Mr Hyde” di Victor Fleming, “L’age d’or” di Luis Bunuel, per la verità quasi principalmente film muti, che probabilmente con la grana grossolana che li contraddistingue sono quelli che meglio riescono a trasmettere la dimensione vaga del desiderio che è alla base delle devianze sadiane.
Al di là di questa introduzione, all’ingresso nel percorso espositivo vero e proprio si profila l’intenzione principale della mostra, quella di evocare come il XIX secolo si sia fatto conduttore tormentato di un pensiero che, portando a scoprire l’immaginario del corpo, va pian piano svelando il desiderio come inventore di forme.
Ripartendo ovvero dalle parole di Apollinaire, “inventore di Sade” in quanto uno tra i primi critici ad averlo rivalutato e introdotto alla platea di artisti e autori che bazzicavano tra il Dada e il Surrealismo, Sade. Attaquer le soleil propone un ricco excursus di opere e autori che tra XIX e XX secolo si sono fatti carico di esprimere le stesse pulsioni e inquietudini sadiane, che vi siano entrati direttamente in contatto o no.
La Medea tormentata di Delacroix, le figure crude di Goya e quelle oniriche di Füssli, il giovane Degas che inizia a mostrare la sua ossessione per i nudi in una sorta di “caccia alla donna” ambientata nel Medioevo, gli inchiostri di Alfred Kubin, Andrè Masson e Aubrey Beardsley, le Salomè e le Giuditte, tra cui quella ̶ bellissima ̶ di Franz von Stuck scelta come manifesto, Rodin, Man Ray e Dalì sono intervallati da citazioni del Marchese che in qualche modo dialogano con le opere, che a loro volta rispondono a quello che Sade sostiene. Il percorso evidenzia come, secondo le parole della coordinatrice della mostra Annie Le Brun:
Sade non inventa niente, nel senso che tutto ciò di cui parla è già là, e che questa questione del desiderio, della violenza del desiderio, infestano con evidenza la letteratura ma anche la pittura. Ed è questa storia di arte ardente di passione dal profondo che racconta l’esposizione.