Nella fotografia lo spazio è importante. Dividere mentalmente la fotografia in differenti “spazi” fa parte della costruzione propria dell’immagine.
Ma se ad essere preso in considerazione fosse addirittura lo spazio vitale?
Lo spazio vitale di ogni singolo protagonista, lo spazio vitale delle persone che passano per quel luogo, per chi ci vive. Lo spazio vitale del fotografo, assente nella fotografia ma presente in quel luogo. Il nostro spazio vitale, uno spazio simbolico, entro il quale la persona vive la sua vita, sceglie come comportarsi e quali scelte fare. Il confine da non oltrepassare per evitare di invadere la libertà altrui.
Sara Munari nasce a Milano nel ’72, vive e lavora a Lecco. Studia fotografia all’Isfav di Padova dove si diploma come fotografa professionista. Nel 2011 apre La stazione fotografica, studio e galleria per esposizioni fotografiche e corsi, nel quale svolge la sua attività di fotografa.
Docente di Storia della fotografia e di Comunicazione Visiva presso Istituto Italiano di Fotografia di Milano e di Reportage presso Obiettivo Reporter, a Milano.
Sara percepisce fortemente l’intrecciarsi di questi spazi, li cattura e li evidenzia attraverso i suoi scatti. Camminando nelle diverse città e nei paesi in Israele e Palestina, percorre un viaggio silenzioso e cieco alla ricerca del proprio spazio.
Fortemente affascinati dal suo lavoro, le abbiamo fatto qualche domanda con particolare focus sul suo progetto |Place|Planner|Project|, eseguito nel 2013, progetto che visivamente evidenzia lo spazio del singolo e lo mette in relazione con l’ambiente circostante.
Innanzitutto, com’è nata la tua passione per la fotografia?
La mia passione per la fotografia è nata per caso.
In quel periodo facevo le “stagioni” in Veneto. Cercavo una scuola di restauro a Venezia, purtroppo i posti erano finiti, quindi direzionai la mia attenzione su una materia che avesse a che fare con le arti visive e trovai una scuola a Padova che mi sembrava seria. Mi sono iscritta e tutto è partito da questo fortuito caso.
Quali sono per te gli elementi chiave per un buono scatto?
Uno scatto per essere accattivante allo sguardo di un potenziale fruitore, deve avere un forte contenuto concettuale, una buona forma ed un’estetica seducente. Credo che questi siano gli elementi fondamentali per la riuscita di un buono scatto. Data la quantità di scatti in circolazione, credo che altra caratteristica fondamentale, sia l’elemento d’eccezione. Cioè quello che fino a quel momento non si era mai visto. Fare in modo che chi guarda sia incuriosito o si ponga domande è il punto di arrivo di ogni fotografo.
Al di là del singolo progetto, cosa cerchi di esprimere attraverso una foto?
Dipende dal progetto. L’intento del lavoro può essere documentaristico, concettuale, poetico, estetico. Quindi, a seconda del contenuto del lavoro che svolgo, mantengo viva in me la necessità legata al concetto generale del lavoro e tento di esprimerla attraverso ogni scatto. E’ chiaro che gli intenti in molti casi si “mescolino”, quindi in base al tema che voglio rappresentare, comunico, o almeno ci provo!
Quanto è importante per te il lavoro di post-produzione? E su cosa intervieni solitamente?
La post-produzione è importante quanto lo scatto. A seconda delle necessità narrative scelgo una post-produzione, a mio avviso, adeguata. Non mi pongo nessun limite, quindi potenzialmente intervengo su tutto ciò che ritengo opportuno al fine di comunicare correttamente il concetto determinato. Fattore fondamentale per me è mettere il fruitore nelle condizioni di non avere dubbi su quale sia il mio intento, la post-produzione non deve mai stravolgere la realtà ma renderla funzionale al racconto.
Tra i tuoi lavori quello che ci ha colpiti di più è stato |Place|Planner|Project|, com’è nata l’idea e cosa intendevi rappresentare esattamente?
Quello che intendevo rappresentare è la fruizione degli spazi vitali da parte delle singole persone. Essendo un argomento molto delicato, che non mi interessa né dal punto di vista politico né religioso, mi sono soffermata sulla condizione del singolo individuo che, a prescindere dalla provenienza etnica, si trova in qualche modo privato della propria libertà.
Quale sarebbe, più nello specifico, la tua concezione di spazio e perché ti sei interessata a questo tema?
Non so perché, ma effettivamente, il tema dello spazio, nelle accezioni più disparate, sembra essere filo conduttore nei miei lavori. Mi sono accorta solo recentemente di questa particolarità. Forse alla base di tutto sta la mia esigenza di avere uno spazio personale, sia a livello mentale che fisico, che mi permetta di sentirmi libera di esprimermi e muovermi. Nel momento in cui questo viene negato ad altri mi sento partecipe e coinvolta, quindi cerco di descrivere come posso questa grave mancanza.
Cosa evidenziano esattamente le linee, le griglie e i cerchi inseriti sulle foto?
I cerchi sono il vero spazio vitale di ognuno, l’area prossima ad ogni persona. Le linee sono coordinate che provengono dall’alto e vengono imposte da terzi. Le griglie sono gabbie nelle quali si è costretti a stare, anche se in qualche caso ci si infila da soli.
Hai scelto il luogo in cui scattare in base ad un preciso e premeditato criterio o la suddivisione dello spazio sulla foto è solo successiva allo scatto?
Ho scattato le foto sempre tenendo presente il lavoro che avrei effettuato successivamente. Quindi le distanze sono ampie e le persone, spesso, piccoli punti nello spazio. Il lavoro è stato, in questo caso, preventivo, adeguandomi agli spazi con cui mi confrontavo durante il viaggio.
Vi è una connessione tra il concetto di spazio evidenziato in |Place|Planner|Project| e quello percepito in Respiro?
Assolutamente si. India, Vietnam, Cambogia, Bangladesh, sono i posti che ho visitato negli ultimi anni. In tutti questi Paesi, la trasformazione degli spazi sta avvenendo molto velocemente e molti si stanno spostando dalle campagne alle città. Questo provoca un sovraffollamento nei grandi centri. I movimenti delle persone, siano esse a piedi o su mezzi, seguono regole a me sconosciute. Il disordine ai miei occhi è tale da confondermi.
Questa è una sensazione particolare che mi coinvolge e sconvolge allo stesso tempo. Mi sento come se ogni cosa intorno ruotasse. Così provo a farlo percepire nelle mie fotografie.
In ultimo, la classica domanda conclusiva, stai attualmente lavorando ad un progetto? Quali sono i tuoi programmi futuri?
A livello fotografico sto seguendo un progetto da mesi, cercando di raccontare la vita di una mia amica di vecchia data che ultimamente ha avuto problemi di salute. Una persona eccezionale, piena di vita.
Devo terminare il lavoro che ho iniziato percorrendo il Cammino di Santiago…
Inoltre, nei mesi estivi mi sono dedicata alla stesura di un libro sulla creazione del portfolio fotografico. Volevo dare uno strumento, realizzato in base alla mia esperienza professionale, che spiegasse cosa è un portfolio fotografico, quali fossero le destinazioni, come si trovano e sviluppano idee. Un aiuto concreto per chi è alla ricerca di un piccolo spazio nel mondo della fotografia.
Il portfolio fotografico: Istruzioni imperfette per l’uso, uscirà a Novembre e lo presenterò a Book city.
Noi ringraziamo ancora Sara e le facciamo un grande in bocca al lupo per i suoi progetti futuri.