Armata di una yashica 108, Germana Frattini realizza delle foto che sono delle vere e proprie istantanee.
Luoghi e persone immortalate in un attimo preciso ed avulse da tutto il resto. Scatti oggettivi che raccontano di una desolazione funzionale alla sua visione delle cose e del mondo.
I suoi lavori basterebbero a descrivere questa ragazza di 22 anni. C’è nostalgia in quegli scatti, un sapore dolce e allo stesso tempo amaro. La caratteristica che salta all’occhio è però l’oggettività dei suoi “racconti fotografici”.
Le foto parlano di lei anche se non rispecchiano il suo stato d’animo; riflettono piuttosto la sua visione, la sua idea di fotografia. Sono scatti naturali nel senso letterale del termine, sono cioè non forzati, diventano una sorta di cronaca che tiene conto di ciò che esiste e si concentra su dei dettagli che testimoniano il passaggio dell’uomo.
Emerge dalle sue foto di Napoli la sensibilità che la contraddistingue: uno sguardo da turista che mostra con orgoglio lo stupore di chi si prende ancora il suo tempo per guardare le cose, senza darle per scontate.
Come un diorama, la mancanza di emozioni trasforma i suoi scatti –e ciò che ritraggono– in qualcosa di statico che aumenta un senso di voyeurismo. I toni tenui e le luci soffuse non fanno altro che accrescere questa sensazione di sentirsi spettatori esterni in posti tipici e, per questo, dati per scontati dai più.
Potremmo considerare le sue foto come una seconda opportunità data a luoghi che sembrano aver esaurito la loro missione, che sembrano essere diventati invisibili agli occhi di chi è troppo distratto per ascoltarne i richiami.
«La desolazione non nasce dalla natura, siamo noi a crearla»
Per capire qualcosa di più sulla giovane fotografa, vi raccontiamo un aneddoto: qualche giorno dopo l’intervista ci contatta per rispondere ad una domanda detta a registratore spento. Il quesito riguardava la manifestazione dell’arte.
Vi riportiamo le sue testuali parole:
“L’ho espressa [la manifestazione dell’arte ndr] in una sorta di rappresentazione geometrica di prospettive simile a quella brunelleschiana e ci ho scritto pure una cosa che ora ti mando, non necessariamente ai fini dell’intervista, più che altro perché è partendo da quella che ho definito un pensiero più chiaro.
– Non credo nella volontà del singolo individuo. Non credo nemmeno nella forza di volontà, e nel gusto personale, nelle decisioni che prescindono, in chi va controcorrente, in chi pensa di fare arte. In questo senso: non esistiamo.
Guardàti da vicino non siamo niente, bisogna spostare la testa un po’ più indietro per vedere chiaramente che i limiti che definiscono un uomo sono ampissimi e comprendono tutti gli uomini. In ognuno di noi c’è la manifestazione di una volontà sociale, mondiale (anche l’arte onesta è priva di volontà. Si manifesta come entità a sé passando attraverso un individuo. L’artista è sciamano).”
L’intervista completa a Germana è disponibile sul primo numero di AWM.
Armed with her Yashica 108, Germana Frattini takes some pictures that are out-and-out snapshots.
Places and people immortalized in a precise instant are detached from everything else.
Objective shutter clicks tell about a bleakness that is functional to her thing and world view.
Her works would be sufficient to describe this twenty two-year girl, in her snapshots there are nostalgia and a bittersweet tone. The feature that stands out is her “photographic tales” objectiveness.
Pictures tells of her even if they don’t reflect her state of mind; they reflect her concept and her idea of photography instead. Her own snapshots are in literal meaning natural, actually they are not contrived but become a sort of report that reckons with what is real, focusing on those details that prove the transit of man.
Sensitivity that characterizes her emerges from her pictures of Naples: a touristic view shows proudly the amazement of who still takes his time to watch things without taking them for granted.
As a diorama, the lack of emotions turns her snapshots – and what they portray – in something static that enlarges a sense of voyeurism.
Light tones and suffused lights do nothing else but increase this perception of feeling as external spectator in typical places and for this reason taken for granted from the majority.
We could consider her pictures as a second chance given to those places that seem have completed their mission and appear to be invisible for those who are too inattentive to hear silences of places that lie waiting for attentions.
“We make desolation, it doesn’t arise from nature”.
To comprehend something more about Germana, here you are a story: few days after our interview, she call us to answer a turned off recorder question. The question was about “art display”.
We report her faithful words:
“ I expressed it (art display, Ed.) in a sort of perspective geometric representation akin to the Brunelleschi’s one and I’ll send you something I wrote about it, not necessarily for the purpose of interview but more importantly because, starting from that I defined a clear reflection.
I don’t believe in individual will. Not even in willpower, neither in personal taste, in disregarding choices, in who goes against the tide and in who believes he can makes art. In this sense: we exist.
Closely examined, we’re nothing; it takes to move a little our head back to understand clearly how the limits that identify a man are too wide and refer to everyone. A social and global expression of will is in everyone. (Fair Art is weak-willed too. It shows itself as a freestanding entity, passing through a person. The artist is a shaman.)”
The whole interview to Germana is available on the first issue of AWM.