La questione sui rapporti che intercorrono tra uomo, natura e macchina è uno dei grandi temi della cultura occidentale. Francesco Bacone, uno dei fondatori della scienza moderna, aveva le idee molto chiare su come dovessero essere impostati tali rapporti:
Oggi dominiamo la natura solo nella nostra opinione, e siamo sottoposti alla sua necessità; ma se ci lasciassimo guidare da lei nell’invenzione, potremmo comandarle nella pratica.
Francesco Bacone
Dominare la natura è il colossale scopo dell’uomo moderno, la prova che deve superare per rendersi unico e autentico artefice del proprio destino. Il potentissimo mezzo che egli ha a disposizione per perseguire il proprio scopo è la macchina. È a questo punto che le cose si complicano. La linearità di questo rapporto gerarchico, immaginato dai moderni, in cui l’uomo sta in cima e domina la natura per mezzo della macchina, non si è mai realizzata. La macchina è sì un prodotto dell’uomo, ma, a ben vedere, il rapporto di dominio che intercorre tra i due si rovescia continuamente. La fabbrica è una delle sedi emblematiche di tale rovesciamento:
Tremava tutto nell’immenso edificio e tu anche dalle orecchie ai piedi posseduto dal tremore, veniva dai vetri e dal pavimento e dalla ferraglia, a scossoni, vibrato dall’alto in basso. Diventavi macchina per forza anche tu e con tutta la tua carne tremolante in quel rumore di rabbia immane che ti prendeva la testa dentro e fuori e più in basso ti agitava le budella e risaliva agli occhi a colpetti precipitosi, senza fine, inarrestabili.
Louis-Ferdinand Céline
Ma si potrebbe anche pensare alla produzione di narrativa fantascientifica dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri per avere un’idea di quanto il rapporto tra uomo e macchina venga percepito da buona parte dell’umanità in modo quasi chimerico più che come una relazione di dominio unilaterale.
Il rapporto si fa ancora più complesso e sfaccettato, quando, dal Novecento in poi, la macchina, diventa anche un mezzo per produrre arte. Il confine tra uomo e macchina si confonde nella produzione di fotografie e film. Non è una novità, l’arte si è sempre prodotta e riprodotta con mezzi tecnici, ma nell’epoca dell’industria si parla di riproduzione in serie, di massa. L’opera d’arte, l’emblema dell’autenticità e della originalità, del genio umano, viene riprodotta in serie, come una qualunque merce. I confini che si è cercato di mantenere ben solidi e netti si squagliano. Proprio alla liquidità e alla porosità di questi confini guarda Sergio Breviario, artista Bergamasco del 1974. Le sue opere si occupano proprio della contaminazione tra questi tre mondi che siamo abituati a considerare distinti e distanti.
Nelle opere di Sergio Breviario, le tre componenti divise si ritrovano condivise. La macchina usata per scolpire il marmo viene rappresentata come artista. I ritratti tornano ad essere umanisti, rinascimentali, ma contaminati da caratteristiche ibride, meccaniche, geometriche, organiche. La scacchiera geometrica si fa spina fossile, si confonde con una forma naturale. Breviario va ancora più a fondo nell’interrogare le separazioni tipiche della cultura occidentale interrogando, oltre ai temi esplicitati fin qui, il dualismo tra individuale e collettivo nella sua opera Prototipo di macchina per la conquista del mondo. La macchina è una macchina prospettica e prismatica. È un gioco di specchi e di rimandi in cui ogni elemento rappresenta un ingranaggio e si ritrova ad essere quindi un individuo, ma inseparabile dal meccanismo di cui fa parte.
L’opera è composta da dodici raffigurazioni visive disposte in teche verticali di diverse altezze, distribuite in tutto lo spazio espositivo. Le dodici teche sono raggiungibili tramite scale e possono essere guardate solamente una alla volta da un fruitore alla volta. Le teche bianche sono, alla visione collettiva dell’opera, monoliti muti e lisci, che non dicono nulla di sé fino a che non si salgono le scale per averne una visione individuale. Concentrandosi su ogni singola opera, una alla volta, si perde la visione collettiva della macchina e si rivolge lo sguardo verso il basso, verso l’interno. Tornando a guardare fuori o in alto si scorge il cielo: lampade che pendono dal soffitto e formano una costellazione celeste. La natura irrompe nella macchina. Ma ecco che avviene un altro rovesciamento: la costellazione disegnata dalle lampade non è che un autoritratto dell’artista, la costellazione del suo tema natale. Esterno e interno, visione soggettiva e complessiva diventano indiscernibili, si rovesciano continuamente. Il motore della macchina si alimenta di queste inesauribili tensioni, impossibili da elencare e da distinguere in maniera netta come pretendono la parola ed il concetto. Sergio Breviario raccoglie un’eredità secolare di quesiti intricati e oscuri e cerca di fare luce, di rendere manifesto ciò che è tanto presente da scomparire nell’ovvio.