Attratti dall’aura di mistero che avvolge queste splendide opere, osserviamo il lavoro dell’artista Geoffrey Johnson.
Avvolti quasi in una nebbia sottile, i personaggi si mostrano sottoforma di silhouettes nere, sottili, leggermente allungate verticalmente e molto, molto nitide. Le pose sono indefinite, i personaggi figure dinamiche che si muovono nello spazio, apparentemente chiusi in se stessi, attraversano la città muovendosi velocemente, piccole identità, piccole realtà sole e taciturne, quasi poggiate su un quadro eterno, un luogo spesso privo di vita. Anche quando raffigura gruppi di persone, Geoffrey Johnson è in grado di dimostrare la malinconia che i singoli provano, e lo fa sottolineando, ancora una volta, l’alone di mistero che avvolge tutta la sua opera.
La tavolozza aiuta il pittore nel suo intento: colori monocromatici nei toni del seppia e del grigio, che inducono ad una riflessione quasi forzata, non esistono colori brillanti che possano distogliere l’attenzione dell’osservatore o elementi di rilievo, al di fuori del soggetto principale, che inducano lo spettatore a distogliere l’attenzione dai veri protagonisti. Lo sforzo dell’artista risiede nel portare il pubblico ad una riflessione più spinta, ben oltre la sfera bidimensionale, una realtà intima e del tutto personale.
La tecnica pittorica è molto simile a quella impressionista, fatta di pennellate minime e veloci, pronte a raccogliere rapidamente l’immagine che si prepara davanti agli occhi dell’artista.
Le opere di Johnson sono caratterizzate dal binomio astrazione-realismo. Astrazione perché le figure sono fortemente astratte, le immagini di fondo non sono mai ben scandite. Realismo perché è l’astrazione stessa che porta l’osservatore verso un’analisi introspettiva che lo conduce ad una riflessione sulla solitudine e sulla malinconia che circonda la figura umana.