L’Expo è alle ormai alle porte e anche l’ultima settimana milanese del design, conclusasi lo scorso 19 aprile, non è scampata al tema portante della prossima esibizione universale. Tra set da cucina, prodotti di design realizzati col cibo, gourmandise come i cioccolatini dello chef giapponese stellato Hajime Yoneda allo spazio Lexus di Tortona ‒ carico di visitatori in fila ‒, il cibo di strada “veggie” nei furgoncini Ape a Lambrate, la mostra in Triennale Arts&Foods (di cui il curatore Celant dice “non l’ho mai fatta così grossa”), gli aperitivi e i cocktail party che hanno invitato anche molti profani ad intrufolarsi negli showroom di via Manzoni per scroccare prosecco e finger food gratis, la città pullulava di eventi a tema culinario, in linea col titolo scelto per l’imminente Expo, “Feeding the Planet”, “Nutrire il Pianeta”.
Al di là di babilonie di utensili vari e trovate un po’ modaiole, forse l’unico spazio che abbia proposto una riflessione vera sulle abitudini che avremo in cucina in un futuro prossimo, più che su lifestyle e status symbol annessi, è stato il temporary store di Ikea in via Vigevano, a due passi dai navigli. Ikea, la stessa azienda che sostanzialmente vende mobilio scopiazzato e a buon prezzo alle famigliole in gita la domenica, per l’orrore dei designer ‒ quelli seri.
Oltre alle quattro variazioni sul tema della cucina modulare Metod, interpretata dai designer Matali Crasset, Paola Navone, Thomas Sandell e Studio Irvine sulla base di esigenze spaziali e funzionali diverse, un ambiente era dedicato al lavoro concept kitchen 2025, realizzato da Ikea in collaborazione con IDEO, impresa internazionale incubatrice d’innovazione, e con gli studenti dell’Eindhoven University of Technology e dell’Ingvar Kamprad Design Center dell’Università di Lund.
Lo stand proponeva il risultato dei 18 mesi di collaborazione, che costituiscono solo parte di una più ampia investigazione condotta da Ikea sul cambiamento del nostro modo di rapportarci al cibo. Lo spazio era occupato dai prototipi dei mobili da cucina che ipoteticamente useremo tra dieci anni. Un’estetica semplice, poco ambiziosa, proprio in stile cucina Ikea a casa di una famiglia comune, è accostata a elementi che si proiettano nei prossimi sviluppi della tecnologia, del cosiddetto “internet delle cose” e della realtà aumentata ad esso associato, definita su Wikipedia come “l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi”.
Nel 2011 l’impresa statunitense di produzione di vetro e ceramica Corning diffonde due video intitolati A day made of glass, ipotizzanti la nostra vita in un futuro abbastanza prossimo. Secondo Corning, il futuro non è dominato né dagli estranianti schermi dei devices personali, né dai Google Glass ‒ di cui si parla già come un fiasco ‒, sono le superfici stesse di mobili, muri e specchi ad avere sensori e proiettori d’immagini incorporati. Questi ultimi interagiscono con l’utente, che può rispondere alla mail dallo specchio del bagno, videochiamare la nonna dal tavolo della cucina, far disegnare i bambini sullo sportello del frigo.
La visione di Ikea non è molto lontana da quella di Corning: il tavolo viene presentato come quello che è, il cuore della cucina e della casa, lo spazio dove si cucina, si mangia, si gioca. Le funzioni che lo caratterizzano vengono tuttavia potenziate grazie a piani di cottura a induzione integrati e sensori, che distinguono il cibo che vi viene posto sopra e, sulla base di questi, proiettano informazioni nutrizionali e ricette, dalla più salutare alla più gourmand. Il prototipo era stato progettato per riconoscere un pomodoro e un broccolo di plastica e del riso. Di fianco al tavolo, una dispensa rivoluziona il concetto di conservazione degli alimenti. Non più frigo e credenze, ma un unico elemento che include contenitori con base a induzione, che riscaldano o raffreddano a seconda delle esigenze dell’alimento e del materiale su cui vengono posti, e scaffali a vista, per tenere sempre sott’occhio le dispense ed evitare lo spreco di cibo dimenticato. L’arredo cucina è completato da un componente polifunzionale, che include un lavello basculante che permette, a seconda del caso, di recuperare l’acqua per innaffiare le piantine di aromi e alimentare la lavastoviglie, o di mandarla allo scarico. La lavastoviglie lava i piatti e li tiene riposti, permettendo di guadagnare spazio ‒ ma questo alcuni single e studenti fuorisede lo sanno già. Infine, la parete di fondo è costituita da un sistema di contenitori che separano i rifiuti, li analizzano tramite scansione e li trasformano in pastiglie compresse, permettendo di fare a casa quello che fanno le industrie di smaltimento, in maniera tale da ridurre la filiera del riciclo. Ci manca solo che la pattumiera risponda “grazie”, come in una scena del film Alphaville, diretto da Godard nel ’65.
L’allestimento trovava spazio giusto di fianco a bistrot e food lab, perché anche fare la spesa diventerà sempre più un’attività esperienziale, piuttosto che una necessità. Questa verrà ordinata a casa dal computer o mentre aspettiamo i trasporti, inquadrando con lo smartphone gli scaffali fittizi “in realtà aumentata”, come quelli installati da Tesco nella metro di Seoul. A portarcela saranno pony express o droni, oppure potremo andare a ritirare l’ordinazione già pronta passando in macchina dal lavoro come fanno Auchan e Leclerc drive in Francia ‒ in Italia questo sistema è ancora in fase di lancio.
Per esempio, nel cuore della prossima Expo, all’incrocio tra i famosi Cardo e Decumano ‒ come si è scelto di chiamare le due vie principali dell’area, azzardando rimandi all’impianto della città antico-romana ‒ troverà spazio il Future Food District, realizzato in collaborazione con Coop e progettato dallo studio internazionale di design Carlo Ratti Associati.
Nel Future Food District sarà veramente possibile fare la spesa: i prodotti non saranno esposti su scaffali, ma su tavoli, come nel mercato medievale. I tavoli di oggi, però, diventano interattivi e sfiorando i prodotti, i visitatori attiveranno la proiezione di informazioni nutrizionali o relative alla filiera produttiva dell’elemento scelto. L’intenzione è quella di rendere la catena alimentare più trasparente ed etica e l’utente più consapevole. Al supermercato non si andrà dunque più soltanto per fare la scorta settimanale ‒ o rubare ready-made ‒ ma per fare delle esperienze didattiche e sensoriali. Il percorso esperienziale continua all’esterno, nella Piazza. I suoi 4500 mq ospiteranno orti verticali, aiuole aromatiche, colture idroponiche e high-tech, oltre a chioschi amovibili, tavoli, sedute e la struttura polivalente della Exhibition Area. A brevissimo sapremo se tutto questo sarà già pronto. Due settimane fa, alcune delle persone coinvolte nel progetto e presenti al fuorisalone si dicevano ottimiste.
Al di là delle buone intenzioni, ciò che è in procinto di essere inaugurato non esula da dubbi e critiche che hanno risuonato a tutti i livelli dell’opinione pubblica, nei riguardi dell’andamento raffazzonato dei lavori, quanto delle modalità di sviluppo tema, come messo in luce da un articolo di Sara Marchesi e dell’antropologo Franco La Cecla risalente a luglio 2014:
“Come si fa ad issare la bandiera dell’Italia bio e gusto e non capire che non si tratta di proporre un manifesto, uno spettacolo da circo, ma che è Milano nella sua specificità a dover diventare una città bio e del gusto. E questo obiettivo non lo si raggiunge arricchendo i balconi di in grattacielo di piante ad alto fusto, ma piuttosto con provvedimenti che inducano l’intera popolazione a prendersi cura della città, a partire da soglie, marciapiedi e strade.”
Ad oggi Milano ‒ e per metonimia l’Italia ‒, più che diventare una città bio e del gusto, sembrerebbe intrattenere col cibo un rapporto da “food porn”, con un che di ossessivo-compulsivo, piuttosto che sano e sostenibile. I padiglioni che promettono il meglio sono quelli delle multinazionali del cibo. Ciò che non sembra esser stato messo propriamente in dubbio è il diktat “Produci, consuma, crepa”, cantato dai CCCP nell’85 in Morire.
Ad ogni modo quando abbiamo personalmente visitato Ikea temporary, lo stand concept kitchen 2025 era buio e fuori uso a causa di un blackout. La tecnologia non può sempre tutto.