“Uno straniero può causare terremoti nel cuore di una cultura”
Nel viaggio verso il tentativo di fare chiarezza sul lavoro di Huang Yong Ping è bene che ognuno tenga a mente questa affermazione di Hou Hanru, direttore artistico del museo Maxxi (già ospitante dell’esposizione di Huang Yong Ping “Baton Serpent”, fino al 24 maggio).
Lo straniero è nativo di Xiamen, una città della costa sudorientale della Cina. Alla fine degli anni settanta frequenta l’Accademia di Belle Arti, in un periodo in cui la Cina usciva dalla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Dopo anni di isolamento culturale durante i quali si era imposta come unica espressione artistica una pittura socialista realista di stampo sovietico al servizio esclusivo della politica e della propaganda, compaiono le prime forme di cultura non ufficiale, che si aprono alla sperimentazione e al contatto con la cultura occidentale, non senza le censure ancora in vigore.
La Cina ha profondissime radici di storia e tradizioni artistiche, filosofiche, letterarie come l’Occidente ne ha di profondissime e diverse. Affrontare la contemporaneità occidentale con gli occhi di uno straniero, permette a Huang Yong Ping di trovare nuovi spunti per realizzare opere estremamente critiche, attraverso un linguaggio nuovo. Quando Huang emigra in Europa è un artista colto, Roland Barthes, Michael Foucault, Ludwig Wittgenstein, i lavori di Marcel Duchamp, Robert Rauschenberg, Yves Klein e Joseph Beuys, diventeranno non solamente basi teoriche, ma strumenti per sfidare l’ordine estetico costituito, liberandolo dalle modalità dell’espressione tradizionale, e utilizzando veicoli culturali cinesi, come l’I Ching e la mitologia, ma non solo, che saranno fondanti della sua pratica sovversiva. Ebbene, Il lavoro di Huang Yong Ping può essere percepito come una rivoluzione estetica, tranquilla ma radicale.
Il viaggio non può che partire da una riflessione del confronto tra le due culture. L’Oriente di Huang e l’Occidente sono intesi come due domini semantici che si oppongono, ma che si completano a vicenda. Francois Jullien, filosofo francese, ha condotto una riflessione sulle due culture e ci ha proposto la possibilità di interrogare il pensiero europeo e scoprirlo dal di fuori, da un altrove, al fine di interrogarlo nuovamente. La Cina è un caso ideale per esaminare il nostro pensiero da fuori, attraverso uno scambio speculativo che fa emergere le fecondità delle due culture. È questo l’intento di HYP quando lava due libri (The History of Chinese Painting and The History of Modern Western Art Washed in the Washing Machine for Two Minutes, 1987-1993; Minneapolis, Walker Art Center) per due minuti.
Siamo all’inizio della carriera dell’artista, un gesto che potremmo definire il manifesto delle sue idee filosofiche ed estetiche. Lavando in lavatrice un libro di storia dell’arte occidentale (Breve storia della pittura moderna di Herbert Read, unica storia dell’arte occidentale tradotta in cinese) con un libro di storia della pittura cinese (La storia della pittura cinese di Wang Bomin) mette in crisi l’idea che esistano culture pure e non contaminate. L’influenza tra due culture però non avviene attraverso la sostituzione di una con l’altra, ma attraverso la sovrapposizione di esse, al punto che la storia dell’arte occidentale non ha senso senza la storia della pittura cinese. Questo rapporto di opposizione e associazione genera significato, è l’ ”illuminazione attraverso la differenza”.
Ma ancora, non è eccessivo vedere nel gesto un archetipo di distruzione del libro, assimilabile a quello che lo stesso Huang ha vissuto durante la Rivoluzione Culturale, quando le Guardie Rosse distrussero, fra le altre cose, migliaia di libri.
L’ uso specifico della cultura cinese parte dallo studio della nozione occidentale di autorialità, messa in crisi proprio da Duchamp con i ready-made. L’idea di opera d’arte unica dell’artista è agli antipodi con la concezione orientale per la quale l’uomo non è al centro dell’universo, ma coesiste con la natura. L’I Ching, o Libro dei mutamenti, è un testo antichissimo, uno dei più importanti testi classici cinesi. Si tratta di un libro filosofico e divinazione che concede responsi sul futuro, i cui metodi di estrazione sono assolutamente casuali. Ispirandosi alla divinazione, e alla ricerca di una via che fosse alternativa alla specificità della cultura, Huang elabora la roulette, un complesso meccanismo di istruzioni che gli permette di sottoporre il processo creativo al caso.
L’opera a questo punto non è più frutto dell’individualità artistica ma prodotto del caso. Riducendo ai minimi termini il proprio controllo e l’autorialità, Huang ha respinto la nozione di ispirazione ereditato dal romanticismo ottocentesco e ha sfatato il concetto di paternità. Huang Yong Ping mette così in pratica la “morte dell’autore” studiata sui testi di Roland Barthes. L’analisi di Barthes, anche se applicato al campo della letteratura, sostiene che ogni opera è un intreccio di citazioni provenienti da migliaia di altre fonti culturali: la nozione di voce originale è sopravvalutata. Il ruolo dell’autore sarebbe quella di compilare un’infinità di voci già esistenti, pertanto il testo stesso parla, non gli autori. Il parallelo o estensione del concetto è quello di Duchamp che non è l’artista che fa il suo lavoro, ma gli spettatori.
Il primo lavoro realizzato con la roulette, è Four Paintings Created According to Random Instructions, 1985; Annie Wong Art Foundation, Hong Kong.
Girando la roulette, Huang ha ottenuto delle istruzioni casuali che gli hanno permesso di creare dipinti che al primo sguardo ricordano l’espressionismo astratto, ma annullando parte della sua specificità, l’individualità artistica.
L’utilizzo della tradizione cinese come prassi metodologica, lungi dall’essere semplice esotismo, diventa strumento per mostrare le difficoltà della comunicazione interculturale. Godere di un’opera di Huang Yong Ping significa trovarsi di fronte ad una sorta di collisione culturale, ricca di conseguenze teoriche. L’esito più recente risiede nell’esposizione “Baton Serpent”, concepita come un un processo di liberazione ed emancipazione dal pensiero contemporaneo. Migrazioni, neo colonialismo, trasformazioni economiche, conflitti religiosi, fondamentalismi politici centrifugano nell’esperienza della mostra, in cui l’analisi della situazione geopolitica è effettuata mediante una dialettica complessa, ricorrendo a materiali non convenzionali, discutibili ma che in ultimo propongono un nuovo dialogo tra religioni e culture, tra uomo e natura.
Hei Hei Sina Sina rappresenta il chokor, un mulino da preghiera tibetano composto da un cilindro rotativo in metallo poggiato su un tronco di legno. Quando è in movimento, il cilindro compie un giro su se stesso suggerendo l’alzarsi al cielo delle preghiere e la loro distribuzione in tutte le direzioni dello spazio. La non-violenza buddista è associata all’antitetico tronco, immagine di un’arma cinese, il mao, e il suo coperchio uno scudo, che all’atto rotatorio sembra evocare il dialogo minaccioso tra politica e religione.
L’opera che in ultimo si vuole analizzare, come sintesi della riflessione sull’umanità è Travel Guide for 2000-2046, La Carte du Monde.
Un’opera-guida all’umanità verso il suo futuro. La mappa del mondo è stata tagliata come la scorza di un frutto e si estende nel senso della lunghezza sulla parete. La pangea è infilzata da tanti aghi di rame, ciascuno riportante un’etichetta che indica la cronologia dei futuri disastri, profezie ispirate al libro The Future Century di Li Yu (1993), che annunciano minacce di terremoti e siccità, guerre e conflitti.
Un talismano decorato a segni grafici reca messaggi di valore sacrale, come atto di aiuto per la sopravvivenza dei più fortunati.
Rievocando Philippe Vergne nel più argomentato lavoro su Huang Yong Ping, “Why Am I Afraid of Huang Yong Ping?” (2005), si può sostenere che non sono solo i valori estetici ad essere messi in discussione, ma un’intera tradizione culturale. E se stessimo entrando in un periodo in cui tutti i nostri parametri hanno bisogno di reinvenzione? Lui ha sollevato questa domanda. Il grande divario tra noi, gli occidentali, e loro, tutti gli altri, è solo una costruzione artificiale giustificata dalla necessità di mantenere ciò che è non più di una struttura di potere coloniale. Il ruolo cruciale dello scetticismo nelle sue opere mette in discussione l’egemonia antropocentrica di un’umanità sempre più lontana dalle sue origini.