Per parlare dello sviluppo urbano ai giorni d’oggi si potrebbe partire dalle parole di Edward Gleaser, Professore di Economia all’Università di Harvard, argomentando che le città possono generare un nuovo sviluppo economico e nuove interazioni sociali solo attraverso una maggiore crescita in dimensione e altezza. Sicuramente sapere che la Cina, da sola, sta generando più città di quante ne siano mai state costruite in tutta la storia dell’uomo è un’altra argomentazione a favore del professore quando, su The Atlantic nel Marzo del 2011, scrive che le restrizioni sull’uso del suolo dovrebbero essere ridefinite in quanto legano le città al loro passato limitandone le possibilità per il futuro: “If cities can’t build up, then they willbuild out. If building in a city is frozen, then growth will happen somewhere else“.
Le sue parole risultano indubbiamente di grande interesse in un’epoca dove, per la prima volta in assoluto, la popolazione urbana del pianeta supera quella rurale e la necessità di nuovi spazi potrebbe diventare il grande problema da risolvere per le città europee, che si basano proprio sulle normative per conservare i loro caratteri morfologici e culturali.
Ma le risposte non tardano ad arrivare e, già nel 2012, Muck Petzet, curatore del padiglione tedesco alla Biennale di Venezia, propone, sotto lo slogan “Reduce/Reuse /Recycle“, un’architettura dell’oggi che non dovrebbe occuparsi di costruire, ma di reinterpretare e riutilizzare quello che di costruito già c’è.
E a partire proprio da questa risposta, perché non parlare del progetto svizzero “Im Viadukt” dello studio EM2N, un bell’esempio dove l’azione di “infill” sostituisce quella di “build up”.
Situato a nord-ovest della stazione ferroviaria della città di Zurigo, un monumentale viadotto ferroviario eretto nel 1894 divideva la nuova area di sviluppo residenziale dallo storico quartiere industriale.
Ma questo imponente viadotto è molto di più che un semplice ponte. Lo studio EM2N lo descrive come una catena montuosa artificiale che attraversa la città in una scala più topografica che architettonica.
Quello di cui si preoccupa lo studio è la strategia progettuale, prima ancora della forma architettonica. L’obiettivo era di reinterpretare l’elemento infrastrutturale in un parco lineare che divenisse luogo per attività culturali, lavorative e di intrattenimento. Questo nuovo programma prende vita da due fondamentali impulsi urbani: l’idea di trasformare il viadotto da barriera urbana ad elemento connettivo lineare e, da questa azione, rigenerare i confinanti spazi esterni.
“We viewed the ambivalence of a large-scale connecting machine and a linear building as a fundamental quality and used it as the architectural leitmotiv to symbiotically connect the new uses with the viaduct structure, including the characteristic Cyclopean masonry as atmospheric element. The new structures are deliberately restrained so as to emphasise the existing arches.”
–EM2N
Oggi tra i 53 archi del viadotto sono stati disposti caffetterie e negozi, mentre nella parte iniziale si trova il mercato coperto che, definito da spazi triangolari, trova posto nella biforcazione tra i due binari. Anche un nuovo percorso ciclabile e pedonale, che corre lungo la parte più bassa delle due linee ferroviarie, agevola l’accessibilità al quartiere.
La linearità del progetto è sottolineata dalla banda orizzontale che definisce l’affaccio dei nuovi locali e che si preoccupa di mantenere un rispetto per la preesistenza, non alterando la scansione morfologica data dagli archi.
Particolare risulta anche il disegno degli interni che, caratterizzato da una struttura mista che va dall’acciaio a pannelli di legno prefabbricati, viene ben illuminato da una luce zenitale mediante una scansione di cupole poste in sommità delle nuove strutture.
La capacità di aver trasformato una barriera architettonica in un elemento di forte connettività urbana mette in evidenza la grande intelligenza strategica dello studio, che seppure con forme semplici non rinuncia a ridare all’aera un nuovo valore civico attraverso un elegante intervento architettonico.
E alla domanda di Muck Petzet se sia quindi possibile creare un nuovo sistema di valori per l’architettura proprio ripartendo dall’esistente lo studio EM2N, con il suo progetto, risponde egregiamente.
“Built architecture posses the right to exist-just because it is already there. Years or decennials ago someone has spent a lot of energy to build these things. This energy is stored in the building and will be released if you destroy and rebuild. Like all manmade things which contain energy and ressources, architecture should be kept in use as long as possible to reduce the overall impact of their creation”.
–Muck Petzet