Se cerchiamo il significato di “deriva” ci imbatteremmo in una definizione che recita pressappoco così: «il trascinamento di una massa fluida in movimento rispetto ad una superfice fissa».
Partendo da tale presupposto, nel realizzare le derive estetiche – una serie complessa, in cui l’immagine fotografica si pone come mezzo di comprensione introspettiva dell’alterazione sensoriale prodotta dalle sue installazioni – David Scognamiglio interviene direttamente nel processo conoscitivo. L’operazione che compie parte dalla fotografia per arrivare al senso proprio della parola “deriva”.
Canali di neon attraversano gli spazi per trovare il loro essere nel riflesso prodotto dall’acqua. Le installazioni di Scognamiglio si compongono dunque di questi due soli elementi, luce e acqua: una composizione minimale e di elevata bellezza.
La compenetrazione tra questi due elementi crea come risultato finale dei riflessi che sono quasi architetture impalpabili e cangianti, spazi che l’osservatore abita e insieme costruisce muovendovisi all’interno. Il processo di creazione del luogo avviene per sottrazione, in quanto è proprio sottraendo materia che riesce a suscitare stimoli sensoriali ed emotivi nello spettatore.
Raccogliendo l’eredità della light painting di Man Ray, attraverso la macchina fotografica, Scognamiglio cattura questi stimoli. Una nuova rivelazione sensoriale si pone sotto gli occhi di chi guarda: il processo conoscitivo, già alterato nelle architetture inesistenti, entra così in un’altra dimensione sensoriale.
Il senso di “deriva” viene dunque a mancare e insieme a trovare un nuovo significato trattandosi di una visione estetica in cui la luce si abbandona e corre sul fluido che in quanto tale non ha forma. La fotografia ne cattura il lascito luminoso arrivando al risultato finale di questa indagine interna sullo scibile percepibile.
Una vera e proprio epifania della realtà.