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Artwort Arte La street poetry del Movimento per l’Emancipazione della Poesia
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La street poetry del Movimento per l’Emancipazione della Poesia

  • 28 Luglio 2015
  • Marco Ferrari

Mi regalo a voi
che passeggiate
per farmi leggere.
Per esistere anch’io,
sempre,
da qualche parte

                                F.05

Delicate poesie che volteggiano per le strade e si depositano sui muri, fugaci attimi di bellezza vissuti con la coda dell’occhio, rivolti a tutti e a nessuno in un gesto di gratuità meravigliata, itinerari di parole che si srotolano attraverso il nostro camminare quotidiano per illuminarlo: leggera è l’opera del MEP, ovvero del Movimento per l’Emancipazione della Poesia, un collettivo di poeti fondato nel marzo 2010 a Firenze e attivo in ambito toscano e sempre più anche nazionale. Leggera come le vere rivoluzioni sanno essere, e non certo perché immateriale: anzi, la poesia promossa dal MEP è poesia concreta riversata nelle strade, con azioni a metà tra la street art e la guerriglia poetica, che prende forma in performance, esibizioni ed eventi che gioiosamente invadono lo spazio pubblico. Assediata dal rumore del contemporaneo, la poesia, dicono, si è smessa di leggere, non di scrivere, e per venire incontro al lettore gli si porta direttamente come un’offerta, un dono attaccato ai muri delle città.
Firmate solo da un codice dietro cui si cela la personalità dei vari membri, le poesie sono così svincolate dal loro autore e vagano per le strade libere di appartenere a chiunque le voglia ascoltare, esprimendo ciascuna il proprio tema e la propria, personale, poetica. Se l’arte è già stata portata fuori dai musei nel corso del ‘900, il MEP propone di liberare finalmente anche la poesia dalla sua componente bidimensionale cartacea, per proiettarla nella dimensione a cui si è sempre rivolta: la realtà. Così, se vi capiterà di passare per i vicoli e le strade di Firenze, Pisa, o della vostra città, e notare un foglio bianco attaccato a un muro che vi sussurra parole delicate, prestateci attenzione: potrebbe essere poesia.

Nel MEP sembrano convivere due anime, quella delicata del poeta e quella eversiva dello street artist: il poeta per avvicinarsi alla gente deve ‘sporcarsi le mani’?  
Oggi, a quanto pare, sì. Ci sembra di notare un generale allontanamento della gente dalla poesia e crediamo che stia ai poeti adoperarsi per ricucire un rapporto: nel nostro caso ci sporchiamo le mani per tentare di avvicinare la poesia alla gente, piuttosto che i poeti. Con la street art spesso condividiamo gli spazi e una componente eversiva, ma questa difficilmente è fine a se stessa, generalmente si denota come una necessità.

Il MEP è aperto a qualsiasi contributo? Come vi si entra a far parte e com’è distribuito sul territorio?
Il MEP è aperto al contributo di chiunque abbia intenzione di impegnarsi per l’emancipazione della poesia. Ci consideriamo un movimento unico suddiviso in nuclei per poter agire in maniera organizzata sul territorio. Attualmente siamo stabilmente presenti in diverse città italiane distribuite lungo tutta la penisola e sulle maggiori isole. Per far parte del MEP il primo passo è prendere contatto attraverso le nostre caselle email, delle adesioni si occupa generalmente il nucleo più vicino agli interessati.

Come vengono percepite le vostre operazioni dalla gente? Negli anni è cambiato l’approccio del pubblico?
Le nostre azioni generano reazioni contrastanti nella cittadinanza, tuttavia, i riscontri positivi che riceviamo superano abbondantemente quelli negativi che, peraltro, tendono a diminuire col passare del tempo, quando le persone evidentemente cominciano ad abituarsi (o a rassegnarsi) alla presenza di qualche poesia a sottrarre gli spazi pubblici già invasi da propaganda e pubblicità.

Come si evolverà il MEP? Paradossalmente, se raggiungesse il suo obiettivo di diffusione della poesia, verrebbe meno e resterebbero solo dei fogli bianchi pieni di versi a parlare sui muri?    
È difficile prevedere come si evolverà il MEP: la discussione interna vanta partecipanti molto diversi tra loro per idee ed esperienze, che condividono un forte interesse per la condizione della poesia. L’assenza di una struttura gerarchica a dare rigidità, inoltre, contribuisce a renderci poco prevedibili. Riguardo però il fine ultimo, ci piace dire che puntiamo alla nostra estinzione. In una società in cui la poesia è ormai emancipata, libera e fruibile, un movimento come il nostro non ha alcuna ragion d’essere.

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Marco Ferrari

Laureato in architettura ma interessato a qualsiasi altra cosa, ha frainteso la formazione come una scusa per spostarsi dalla Aarhus School of Architecture al Giappone di Sou Fujimoto, dal Cile della tesi all'India di Studio Mumbai. Ha lavorato per Dorte Mandrup, Cassina e Spaces like Actions.

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