Julia Krahn utilizza la sua macchina fotografica con la stessa precisione con cui si utilizza un bisturi. Le fotografie che realizza sono immagini limpide, dai colori sobri e le forme minimali. La loro ammaliante essenzialità non è però il risultato di un processo di semplificazione, ma quello di una violenta contrazione, di cui si avverte tutta la drammatica tensione.
L’incisività e la solennità delle opere di Julia Krahn sono gli aspetti di una originale forma di classicismo.
Nietzsche ha svelato dopo millenni il mistero dell’arte classica, che ha sfiorato, se non raggiunto, una perfezione che sembrava potesse essere realizzata solo da forze divine. Al fondo della luminosa bellezza dell’apollineo si nascondeva la cupa inquietudine del dionisiaco, dietro il bianco marmoreo e la perfetta armonia delle forme si celava il terrore per la morte e la terrificante consapevolezza dell’assurdità dell’esistenza umana. È per questo che al termine della Nascita della Tragedia il vecchio ateniese esclama: « quanto dovette soffrire questo popolo, per diventare così bello! ».
La bellezza che rifugge gli strati più torbidi e oscuri dell’umano è semplicemente insulsa e stucchevole. Julia Krahn non solo attinge senza timore a questi strati reconditi, ma espone il suo stesso corpo e la sua immagine a questo tormentoso processo di trasfigurazione. Il bianco e la purezza delle sue immagini sono tutt’altro che catartici, non rimuovono il dolore, né vi si sostituiscono, ma si assimilano ad esso e lo trasfigurano.
La colomba, simbolo di purezza, è spesso accompagnata dal suo simile ignobile, il piccione. Forse era un piccione recita il titolo di una delle sue opere. Questa inquietante ambiguità è sintetizzata dal termine tedesco Taube, che designa sia l’uno che l’altro. Esso diventa la rappresentazione dell’inscindibilità degli opposti, del bello inestricabilmente legato al brutto, dell’estasi alla sofferenza, della luce all’oscurità e, infine, della vita alla morte. Nell’Ultima cena, sul tavolo ormai vuoto coperto di farina, il piccione, anch’egli cosparso di bianco, è il testimone impassibile di ciò che è accaduto e cupo presagio di ciò che sta per accadere.
Attraversando secoli di miti e religioni, Julia Krahn rielabora altre celebri rappresentazioni dell’unità degli opposti. In una serie di autoritratti l’artista si ritrae nelle vesti di Maria Maddalena, la prostituta diventata santa.
Le sirene ammaliatrici, che con il loro canto soave incantavano i marinai e li conducevano verso la morte sono rappresentati in Sirens da massi di pietra vulcanica fatti cadere in mare, filmati e fotografati sott’acqua al contrario. Il punto di vista insolito fa apparire queste sirene di pietra, che sprofondano verso gli abissi, come se riemergessero dalla superficie del mare e si spingessero lentamente verso l’alto.
L’immaginario poetico di Julia Krahn, seducente come il canto delle sirene, attira e conduce con la sua grazia verso le più profonde inquietudini dell’uomo.