Si è generalmente d’accordo sul fatto che l’arte debba essere mera finzione, ma è difficile asserire con altrettanta convinzione che l’arte possa anche mentire. Le due cose non sono affini. Affinché la finzione non si dissolva e crolli su se stessa, deve sapersi muovere con agilità ed estrema coerenza. Il risultato deve convincere come se fosse reale. La menzogna no. La menzogna nasconde, soffoca e distorce.
Può accadere allora che un artista, dedito alla finzione, decida di scagliarsi contro l’enorme quantità di menzogne somministrata quotidianamente. È questa senza dubbio la strada intrapresa da Tobias Zielony. Gli emarginati, le periferie devastate e le atmosfere deprimenti ritratti dal fotografo tedesco non provengono da paesi poveri o sottosviluppati, ma dal cuore del nostro civilissimo e sviluppato occidente, venerato come il migliore dei mondi possibili. Tuttavia, Tobias Zielony non è un reporter, non ha la pretesa di mostrare la dimensione oggettiva dei fatti. Tobias Zielony è un artista, e in quanto tale produce finzioni, nonostante il suo realismo crudo e impietoso.
Nei suoi scatti, i frammenti di una realtà costantemente celata e accuratamente camuffata emergono come relitti e acquisiscono un’assoluta rilevanza e dignità estetica, senza che nulla venga falsato o distorto.
Le periferie di Berlino, Roma, Los Angeles e Marsiglia sono i luoghi in cui si svolgono le sue narrazioni frammentarie, nelle quali reietti ed emarginati sono i protagonisti.
Nelle sue serie fotografiche le orribili Vele alla periferia di Napoli appaiono in tutto il loro grigio e maestoso squallore. I volti e i corpi segnati di prostitute, tossicomani e piccoli criminali sono ritratti nella loro tragica ed eroica sofferenza.