Il prestigioso Turner Prize, assegnato dalla Tate gallery di Londra, è andato quest’anno al collettivo Assemble Studio. È un risultato decisamente eccezionale per almeno due motivi:
In primo luogo, nella storia trentennale del Turner Prize, non è mai stato premiato un collettivo anzichè un singolo artista. In secondo luogo, il lavoro di Assamble Studio è difficilmente collocabile all’interno di una delle discipline che compongo lo scenario, per quanto ampio, dell’arte contemporanea.
La loro pratica artistica percorre trasversalmente architettura, design, urbanistica e arti visive, mirando al recupero di edifici e intere aree urbane degradate, prive di ogni rilevanza estetica o funzionale. È una modalità che sfugge inevitabilmente all’intricato tessuto di gallerie, fiere e collezionisti che costituisce il complesso sistema dell’arte contemporanea. Il collettivo britannico coinvolge luoghi e persone che sono solitamente tagliati fuori da questo sistema.
Grazie al loro visionario ingegno hanno trasformato vecchie pompe di benzina in cinema e costruito teatri sotto i cavalcavia delle autostrade.
Tra i progetti che gli hanno permesso di conquistare il Turner Prize, ci sono anche i due più abiziosi: 10 Houses on Cairns Street e Granby Four Streets. Intere aree urbane nella periferia di Liverpool, destinate alla demolizione, sono state recuperate e riqualificate, dopo aver avuto la meglio sullo strapotere della speculazione edilizia. Nonostante l’ampia portata del loro lavoro, la linea guida del collettivo è chiara, semplice e incisiva:
We want to celebrate the idiosyncrasies of the existing derelict buildings. If a floor is missing, why not leave it out and have a double-height space? There isn’t the usual pressure to extract the maximum possible value from the site and put profit before people.