Charalampos Kydonakis è un fotografo Greco che ha iniziato a scattare nel 1997, sin dall’inizio del percorso di studi in architettura, ma solo dal 2008 si è dedicato completamente alla fotografia. L’abbiamo intervistato per saperne di più del suo lavoro Once Upon a Time on the Island of Minotaur, una raccolta di fotografie che osservano la natura diadica dell’isola di Creta, un punto di vista speciale del suo entroterra, un racconto degli usi e costumi influenzati più dalla montagna che dal mare limpido.
Sei greco e in questo progetto, Once Upon a Time in the Island of Minotaur, il soggetto principale è proprio la Grecia, in particolare Creta e i suoi abitanti. Quanto è importante raccontare il tuo Paese attraverso la fotografia?
Alcune delle mie foto potrebbero essere scattate ovunque, altre no. Mentre provo a viaggiare più che posso, le mie foto preferite sono quelle che scatto sulla mia isola. Magari succede perchè ho trascorso più tempo lì che negli altri posti, magari la ragione va oltre questo, chi può saperlo.
Racconti di una Creta completamente diversa rispetto a quella che noi siamo abituati a vedere. Cosa ti ha portato a scardinare l’immagine consolidata dell’isola?
Dopo gli anni ’70, in nome di un profitto sempre più veloce, la propaganda del “glamour” mainstream e il brutale sviluppo del turismo echeggiano ovunque qui sull’isola. Creta, a dispetto della sua lunga storia, è rappresentata quasi esclusivamente come il luogo dal mare blu, il luogo del sole, della cucina mediterranea e dei tramonti romantici. La mia visione probabilmente non offre ragioni allettanti per venire a visitare l’isola, credo anzi che sia esattamente l’opposto di quello che si trova in internet, facendo una veloce ricerca con Google. La mia isola è l’unico posto che non avrò mai la possibilità di ammirare così come appare agli occhi di un estraneo, allo stesso modo mi sento spesso come un estraneo circondato dalla mentalità del turismo a tutti i costi.
Sul tuo sito hai riportato una citazione che dice “Detesto le macchine, non mi dirai che la fotocamera è una macchina” suona quasi come un rifiuto per questa rappresentazione. Cos’è per te, invece, la macchina fotografica?
Detesto le macchine.
Il problema è iniziato quando hanno scoperto la ruota.
Non mi dirai che la fotocamera è una macchina,
è il più meraviglioso pezzo di divinità mai creato.
Questa è una citazione di Sam Peckinpah. Le macchine possono rendere la vita delle persone più semplice, ma dubito che possano renderla migliore. La fotocamera invece è come un occhio che però può sentire e parlare.
Visto che hai questa particolare visione della fotocamera, quasi come un pezzo di divinità, usi spesso la post-produzione oppure lasci alla fotocamera tutto il lavoro?
La fotocamera scatta, è il primo passo e anche il più importante. Le immagini però devono essere sviluppate in qualche modo. Da quando ho iniziato a scattare con il digitale mi è mancata la sensazione di toccare una foto, una fotografia è sempre più bella stampata che su uno schermo. Dall’anno scorso che ho ricominciato a scannerizzare e stamparle di nuovo.
Tra queste foto si vedono: una donna anziana, un cacciatore, una capra,un contadino, del legname, qualche campagna e non tanto mare se non per una foto in cui appare una porzione di acqua con una macchia di alghe. Sembra che tu voglia donare all’osservatore la vera Creta, quella rurale, senza turismo. Un’isola che gli stranieri non possono possedere.
Le mie foto sono la reazione contro l’economia che pubblicizza un luogo al fine di vendere un prestigioso prodotto turistico. Creta, come ogni posto, non appartiene solo ai suoi nativi. L’isola può appartenere a tutti quelli che vogliono immergersi profondamente, imparare la sua storia e la sua cultura. Werner Herzog, Ross Daly e altri non erano nati a Creta, ma sono stati ispirati e hanno creato sull’isola. El Greco e Nikos Kazantzakis sono nati e cresciuti a Creta ma l’isola era troppo piccola per trattenerli, ma ancora è presente dentro di loro.