Le tele di Mary Cinque sono un viaggio compiuto o da compiere. Una pittura non chiassosa che sussurra piacevoli atmosfere. Dagli acrilici agli acquerelli non c’è mai nulla fuori posto. Mary ora sottrae, ora aggiunge ma sempre con la consapevolezza di chi è pronto a esplorare l’arte in tutte le sue forme.

Nei tuoi dipinti raramente c’è la figura umana. Elimini la presenza dell’uomo ma lo lasci come concetto, come l’invisibile creatore. Ed ecco che le architetture o gli oggetti si vestono di inusuale leggerezza e purezza cromatica. Cos’è per te il silenzio e il vuoto in pittura?
Il silenzio e il vuoto sono spazio per la creazione (mia e di chi guarda).
“Per noi, l’arte è un’avventura in un mondo sconosciuto, che può esplorare solo chi è pronto ad assumersi dei rischi.” Adolph Gottlieb e Mark Rothko.
L’arte non è mai un rifugio o il cercare la pace interiore, spesso è una reale esigenza che non si placa con l’ultima pennellata. Secondo te oggi gli artisti corrono dei rischi o cercano solo lo stupore per rincorrere il sempre più potente mercato dell’arte?
Non mi piace parlare per gli altri.
La fisicità in pittura è, a mio avviso, inafferrabile. L’approccio con un quadro deve passare necessariamente per la vista ma poi va oltre. Oltre la geometria e le campiture di colore cosa lasci e cosa trovi nelle tue tele?
Se per lasciare intendi di cosa io mi liberi, mi libero del caos e della passione incontrollata, o meglio, quest’ultima forse la trasformo, la trosformo in ciò che trovo, in ciò che creo con le mie tele e cioè: la misura, la progettazione, il pensiero e la logica umani.
L’arte è cercare, attraverso uno spazio finito, di governare il caos. Napoli è un orizzonte vistoso e caotico, come ha influito questa città sulla tua pittura?
La città ha influito e influirà molto, anche quando ne sarò lontana. Vivere a Napoli è un ottimo allenamento per guardare oltre.
Chi è oggi Mary Cinque?
Sono quasi diventata me stessa. Non ancora. Il viaggio continua, come ogni ricerca da artista che sia veramente tale.