26 novembre 1976: esce Anarchy in the U.K. dei Sex Pistols e il punk britannico diventa protagonista della scena mondiale.
Quattro ragazzi londinesi e la loro rabbia, la loro ribellione verso la società inglese di quegli anni, il loro modo di comportarsi, di suonare e di vestire, il rifiuto e la sfida verso ogni tipo di regola, diventano un punto di riferimento per i ragazzi di tutto il mondo.
E se oggi, quarant’anni dopo, pensando al punk, la nostra mente richiama subito calze strappate, pizzi, borchie, creste e magliette con slogan, lo dobbiamo alla donna che sapientemente ha creato l’immagine di quel fenomeno musicale e culturale che ha sconvolto intere generazioni: Vivienne Westwood.
Sono i primi anni ’70 e la confortante quanto utopistica promessa hippie di un mondo in cui potessero regnare l’amore e la pace, sta lasciando spazio a quelle subculture deluse da una rivoluzione ormai fallita. Sono gli anni della recessione economica, degli alti tassi di disoccupazione, seguiti al boom degli anni ’60 in un’ Inghilterra nella quale il futuro sembra sempre più precario, sopratutto per i giovani.
Lo stile hippie la fa ancora da padrone tra le strade di Londra, ma i vestiti a fiori e i pantaloni a zampa di elefante cedono il posto ad abiti stile Teddy Boy, memorabilia e musica anni ’50 in un piccolo negozio di Chelsea, Let it rock, di proprietà di Vivienne Westwood e del compagno Malcom McLaren.
Ben presto il 430 di King’s Road diventa luogo di incontro per i giovani londinesi tra i quali i membri dei The Strand, nucleo originario dei Sex Pistols; se da una parte sarà McLaren a curare gli interessi del gruppo, dall’altra la Westwood si preoccuperà di creare la loro immagine. Nasce così la moda punk.
Il rifiuto delle convenzioni sociali si riflette nel rigetto delle regole dettate dalla moda, che diventa anch’essa un tramite per la protesta sociale e politica.
Il negozio cambia nome più volte, come più volte cambiano lo stile e i capi proposti da Vivienne Westwood. Abiti unisex, pelle, zip, giacche da motociclista e magliette con scritte provocatorie sono i capi protagonisti del periodo Too fast to live, Too young to die.
Nel ’74, in risposta ai problemi con la legge causati proprio dagli slogan stampati sulle t-shirt, il locale è rinominato SEX, e con la sua insegna rosa shocking propone uno stile quanto mai trasgressivo, caratterizzato da un gusto fetish e bondage; accanto a capi di marchi più conosciuti, come il leggendario Atomage Leather Couture di John Sutcliffe, vengono proposti pezzi creati dalla coppia Westwood – McLaren, frutto di un geniale mix di elementi proto-punk e porno. Sono gli anni in cui The Strand diventano i Sex Pistols.
Ed è proprio nel 1976, anno di uscita del primo singolo del gruppo considerato l’emblema del punk inglese, che il negozio prende il nome di Seditionaries – Clothes for heroes; è il momento in cui spille e borchie, unite agli elementi delle esperienze degli anni precedenti, confluiscono nel riassumere tutta l’iconografia tipica della scena undergroung londinese.
L’inizio degli anni ’80 porta con sé la fine dei Sex Pistols e allo stesso tempo il successo del punk a livello mondiale. Seditionaries diventa World’s End e la sua celebre insegna con l’orologio al contrario svolge tutt’ora il suo ruolo sul muro del 430 di King’s Road.
Sono gli anni in cui inizia la carriera della Westwood come stilista professionista. Seguendo i consigli di McLaren, rivolge la sua attenzione al passato, traendo ispirazione dalla storia per le sue creazioni.
Dal 1981, anno della sua prima sfilata Pirates, ispirata a un’immaginario fatto di galeoni, dandy e bucanieri, la controversa stilista inglese porta sulle passerelle di tutto il mondo il suo inconfodibile stile, dominato dalla rivisitazione e lo stravolgimento degli elementi caratterizzanti la moda del passato.
Secondo Vivienne Westwood la moda è una combinazione e uno scambio di idee tra la tradizione inglese e quella francese:
“On the English side we have tailoring and an easy charm, on the French side that solidity of design and proportion that comes from never being satisfied because something can always be done to make it better, more refined.”
Le gorgiere, i merletti e le crinoline dell’età vittoriana, il tweed, la stampa scozzese e il kilt, ma anche gli abiti dei nativi d’America e delle donne peruviane, le illustrazioni di Keith Haring e le insegne luminose di Tokyo, la famiglia reale e i balletti russi, sono le suggestioni che per anni hanno ispirato le collezioni di Vivienne Westwood.
Intorno al 2000 mette da parte le ricerche sul passato e ritorna a tagli unisex, tipologia che aveva più volte utilizzato agli inizi della sua carriera, esplorando approfonditamente le tematiche relative al naturale movimento dei tessuti che vengono trattati come materia vivente.
Per prima mostra in passerella l’intimo indossato sopra gli abiti, ripropone con determinazione elementi di antica sartoria che sembravano solo un lontano ricordo, come il corsetto e il faux-cul, e dal suo stile sovversivo si lasciano ispirare alcuni dei più grandi stilisti della nostra epoca, come John Galliano e Gianni Versace.
Anticonformista per vocazione, è salita più volte agli onori della cronaca per le sue proteste a favore dei diritti degli animali e della salvaguardia dell’ambiente, o per i suoi gesti provocatori nei confronti delle più alte cariche pubbliche tra le quali la Regina Elisabetta e l’ex Primo Ministro Margaret Tatcher.
La sua innata insofferenza verso ogni genere di consuetudine ha fatto di lei una delle più grandi rivoluzionarie della moda contemporanea, insegnando al mondo che l’eleganza e lo stile non derivano da regole, ma nascono dalla libertà di essere ciò che siamo.
Se Coco Chanel suggeriva di togliere sempre qualcosa di dosso prima di uscire, la risposta di Vivienne Westwood è “When in doubt, overdress!”.