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Artwort Arte La preghiera puntinista di Marco Tirelli
  • Arte

La preghiera puntinista di Marco Tirelli

  • 2 Dicembre 2016
  • Marco Ferrari

‘Ho sempre provato una tensione tra gli spazi […] e ciò che giace oltre, invisibile.’

L’opera dell’artista romano Marco Tirelli si gioca tutta su un limite sottile, permeata di forze dialettiche e pacificate ma memori di una tensione insolubile. Luce e ombra, visibile e invisibile, fisico e metafisico ricorrono nel percorso di un artista italiano tanto presente negli anni della scuola romana di San Lorenzo quanto schivo e insensibile alle mode del momento. D’altronde Tirelli si colloca per natura nello spazio tra il detto e il non detto, nell’intervallo sonoro tra il silenzio e la parola, alla ricerca di un’opera che nasca senza tempo, che tenda all’infinito e possa evocare un metafisico che appare solo alla visione mentale.

Sospesi tra un Malevich enigmatico e un De Chirico del quotidiano, tra un Rothko puntinista e un Morandi fotografico, i suoi quadri individuano nella tela il luogo dello scambio tra mondo fisico e visione metafisica, concentrata, assorta e depurata di tutto ciò che non sia essenziale alla definizione dell’immagine, di tutto ciò che non sia luce o ombra. È su questo confine impalpabile che si manifesta la magia della visione, è l’ombra che con la sua qualità assente definisce gli oggetti ed è lei che decide insindacabilmente tra l’apparizione e la scomparsa.

Le immagini sono monumenti all’impermanenza, enormi attimi congelati nella visione di un istante e indagati nei loro dettagli essenziali con una tecnica puntinista sviluppata dall’artista. Tirelli lavora su livelli e in parallelo su diverse opere, metodo che consente quell’unitarietà di fondo delle tele e al contempo un manifestarsi graduale del soggetto, letteralmente sbozzato dalle tenebre coprendo con schermature porzioni progressive di tela su cui va a posare una fitta trama di acrilico finissimo posato ad aerografo. E d’un tratto l’immagine appare dal continuo stratificarsi di velature di oscurità e in quell’attimo sembra che anche i nudi oggetti e le scarne geometrie rappresentate prendano coscienza di sé e ci lascino intravedere il proprio segreto, improvvisamente memori di incarnare un significato che avevano quasi dimenticato di possedere.
Restano lì, simulacri di loro stesse, metarappresentazioni spogliate della loro individualità per diventare eterne, e condividere con noi il bagliore di tenebra che ha dato loro vita.

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Marco Ferrari

Laureato in architettura ma interessato a qualsiasi altra cosa, ha frainteso la formazione come una scusa per spostarsi dalla Aarhus School of Architecture al Giappone di Sou Fujimoto, dal Cile della tesi all'India di Studio Mumbai. Ha lavorato per Dorte Mandrup, Cassina e Spaces like Actions.

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