A volte pare impossibile creare il nuovo, di nuovo. Un gioco di parole. Circondati da linee, forme e colori sorprendenti pensiamo che tutto quello che si poteva inventare sia stato ideato. Ma, per non legarci al presente e ai ricordi del passato, ci ritorna immantinente in testa la frase profetica di quel genio di Joe Colombo “Inventiamoci il futuro” e così ci accostiamo alla ricerca di Mario Alessiani con la consapevolezza che tutto si può inventare, ancora e sempre.
“Beauty is form. Form is function. Design is functional beauty”
Con queste parole definisci la tua ricerca, frutto di uno stile funzionale, sobrio, intuitivo. Come tutti i designer a questa sintesi, che prefigura un futuro progettualmente sempre migliorabile, affianchi una curiosità sorprendente ed un animo innovativo e anche un po’ visionario. Sei d’accordo con questa analisi?
Un’analisi direi molto generosa, sono un cultore della normalità e mi emoziono con le piccole cose. Credo che l’innovazione sia un percorso lungo fatto di piccoli passi, cerco di cogliere il bello dalle cose semplici e far entrare discretamente le novità nella normalità di tutti i giorni.
Ci sono oggetti culto divenuti icone del design mondiale, come la sedia Tulip progettata da Eero Saarinen nel 1955 e da allora ancora in produzione. Hai un oggetto che ti ha particolarmente ispirato o a cui sei legato?
Sono legato a diversi oggetti, i maestri del design italiano mi hanno sempre dato grandi emozioni fin da quando ho iniziato a studiare design. Enzo Mari lo considero un vero e proprio guru per la mia formazione personale e professionale, anche se non ci siamo mai incontrati. Se devo però dire il nome di un oggetto, mi sento di distaccarmi un po’ da questo ragionamento e citare la Ply-chair di Jasper Morrison. La sua supernormalità mi ha sempre affascinato, non saprei neanche definire i parametri che mi attirano di quella sedia. È fantastica e basta.
Gaetano Pesce, in un intervista del 2011, a chi gli chiedeva consigli per un giovane designer in cerca di nuovi materiali rispondeva: “Andate nelle industrie chimiche per osservare chi fa ricerca. Spesso i ricercatori scoprono materiali che non sanno usare, mentre i creatori, più legati al mondo dell’espressione, possono vedere più in là dei tecnici”. Pensando, per esempio, alla tua opera Banchetto K è vero che anche nella tua progettualità è fondamentale l’analisi dei materiali?
I materiali sono tutto, innovativi o meno. Senza sapere con che materiale progetterò mi rimane impossibile anche solo pensare una forma o un concetto. Il processo di produzione, a partire dal materiale, è fondamentale e senza questa consapevolezza il design è effimero e privo di fondamenta.
Innovazione e visioni alternative sono essenziali nella genesi di ogni progetto. Penso a Oltremondo, la tua realizzazione nata all’interno di un progetto IFU Instruction For Use, che interpreta il mondo del viaggio raccontandolo come un superamento dei confini e l’abbattimento dei propri limiti. Mi viene in mente il concetto di Opera aperta di Umberto Eco, dove l’opera si pone intenzionalmente aperta alla libera reazione del fruitore. Oltremondo è un’opera che si trasforma rinnovandosi in base ad esigenze, gusti e creatività?
Oltremondo è un progetto giovanile, diciamo. Non ero ancora così radicale nel mio pensiero e lasciavo ancora spazio a concetti più ampi, che andassero oltre il ragionamento formale e produttivo. La mia intenzione era comunque di ispirarmi a un concetto astratto, come quello del superamento del confine (in questo caso delle gambe), per creare un nuovo oggetto.
Mi piace l’idea che chi usa un oggetto si senta libero di utilizzarlo come meglio crede, anche in modo insolito e trovo interessante non dover necessariamente spiegare tutte le sue funzioni . Una volta ho sentito un’intervista in radio a Max Gazzè che spiegava che raccontare i testi di una canzone è limitativo e bisogna lasciare che le persone immaginino da sole il loro significato. È bello lasciare spazio alle interpretazioni, anche nel design.
Per il tuo sgabello Antilope, che doveva essere facilmente spedito e montato con un cacciavite dall’utente, ti sei ispirato alle funzionali sedie Thonet. Il passato insegna? La collaborazione con la committenza ha bloccato, a volte, la tua creatività?
Senza passato non c’è futuro e a volte il passato è molto più attuale di quello che si pensa. Il tema della smontabilità è estremamente contemporaneo grazie all’e-commerce e al tema dell’ecologia nei trasporti. C’è chi prima di me (e meglio di me) ha analizzato questi temi, prendere spunti è come partire in terza. La collaborazione con la committenza in realtà è uno stimolo perché i limiti che ti pone creano le condizioni per ingegnarsi e trovare soluzioni insolite.
In questi tempi dove tutto è veloce bisogna già progettare per i nuovi teen, la cosiddetta generazione Zeta, i veri nativi digitali?
Secondo me non bisogna già pensare a cosa progettare per loro. Il mondo va avanti da solo e sono sicuro che quando nasceranno nuove esigenze si troveranno nuove soluzioni. L’importante è che non si rinunci alla qualità per la velocità, altrimenti andiamo indietro anziché avanti.
Che futuro stai inventando? Puoi anticipare i progetti a cui stai lavorando?
Sto cercando di capire quale possa essere il mio contributo per la società. Creare oggetti è una responsabilità e bisogna esser bravi a non cedere a compromessi e a cercare di educare, anche indirettamente, chi userà i tuoi oggetti. Voglio dare qualità alle persone e fare in modo che possano riconoscerla anche senza avere un’educazione legata al mondo del design. Le sedie progettate per Officine Tamborrino sono il risultato di un lungo percorso progettuale legato al modo di vivere l’ambiente ufficio, sempre più domestico, e a un accurato processo produttivo.
Mario Alessiani, nato nel 1989 a Teramo, si trasferisce a Roma per frequentare lo IED. Muove i primi passi come Junior Designer presso lo studio di Giulio Patrizi. Ma sarà l’esperienza a Londra, presso lo studio di Jake Phipps, che gli permetterà di conoscere il lato più poetico ed artigianale del design. Tornato in Italia apre il suo studio collaborando con aziende nazionali ed internazionali.
Interessante il Book, una piccola raccolta di immagini contenenti foto e making of dei progetti Next, Antilope e RJR.