Il cielo è cupo, l’erba sospira, le fronde perfette avvolgono abitazioni sospese nel tempo. Gli scenari di Lee Madgwick sono spesso ascrivibili a questo quadro narrativo, un horror fiabesco in cui i personaggi sono scomparsi, scappati o semplicemente nascosti. Reduce dalla collaborazione con Bansky a Dismaland e in mostra per la prima volta in Italia presso la White Noise Gallery di Roma, si può dire che l’artista britannico sia vissuto con la matita in mano sviluppando nel tempo una tecnica pittorica ad olio estremamente accurata e dagli esiti del tutto innovativi.
Dal suo pensiero scaturiscono immaginari surreali ed arcani, catapultati in paesaggi tipicamente britannici in cui è inevitabile creare una relazione tra la pittura di paesaggio del ‘700 e un film horror di Stephen King. La storia è unica ma la trama è vicina: case in contesti senza spazio e senza tempo incarnano l’archetipo dell’abitazione moderna, microcosmo, rifugio, Nazione; ovunque uguale, ovunque sola. In un mondo in cui la globalizzazione ha portato all’omologazione a discapito della diversificazione culturale, le case di Madgwick sono irriconoscibili e distopiche, avulse da qualsiasi concezione di appartenenza dei luoghi.
Who inhabits these places? What lives do they lead? What is happening or about to happen?
Le strutture sono consumate, vissute, in un attimo immobile che non è possibile datare, così come non è possibile identificare l’esatto momento della giornata, il mese, l’anno. Il cielo sta per dischiudersi o sta per giungere l’apocalisse? Anche la natura sembra essere ostile, ostile all’uomo e al contempo sovrana indiscussa. La vegetazione, immutata ed impassibile, si riappropria degli spazi, è rigogliosa, viva, piena di forza talmente timorosa che ci si interroga sul ruolo che potrebbe avere l’essere umano.
L’uomo esiste o non esiste? La casa è casa o non è casa? Identitarie della società moderna, le strutture si svelano solo nella loro pelle esterna, sono restie al dialogo anche con la natura. Così come l’essere umano difficilmente riesce a svelare la propria storia, le case di Magdwick non osano aprirsi all’osservatore che resta dubbioso sul chi abiterà quelle stanze apparentemente abbandonate, ma a volte illuminate.
L’intento dell’artista è proprio quello di lasciare aperto il finale, non consegnare la chiave per concedere mille chiavi di lettura. I più positivi potrebbero immaginare che ci sia vita, i più negativi che non ci sia. Come un bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, la storia è scritta da ognuno di noi.