Tre biciclette per tre compagni di viaggio sono l’inizio di un’avventura durata 31 giorni lungo l’Islanda e che ha dato vita al progetto fotografico Feral Fjords realizzato da Steve Léon Brown, visual artist metà francese metà inglese. L’artista, interessato dal conflitto odierno tra natura e società, ha deciso di perdersi nelle meraviglie e nelle difficoltà che può riservare il paesaggio dei fiordi islandesi per raccontare a se stesso, ai suoi amici, a chi vorrà osservare le sue fotografie, cosa può riservarci la natura e quanto sia necessaria una riconciliazione con essa. Il punto di vista disteso, libero, leggero ci regala un salto in questo scorcio di Terra ancora poco contaminato, selvaggio, puro. Un viaggio di vita, di amicizia, di gratificazione e bellezza che si ritrova nei colori caldi e pieni dei paesaggi infiniti, nell’immensità delle montagne, negli occhi abbagliati dal sole a mezzanotte.
‘Feral Fjords’ is a touch on simplicity, journey, freedom and satisfaction.
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Parlaci della tua carriera da visual artist. Come hai iniziato e perché ti sei interessato maggiormente ai temi geografici umani e sociali?
Quando ero piccolo pensavo che il modo migliore per esprimere me stesso fosse creativamente, e naturalmente ho perseguito questa curiosità fino all’età adulta. Fotograficamente parlando ero interessato da come potesse essere semplice registrare momenti e conseguentemente comunicare visualmente ciò che trovo interessante e quindi condividere con gli altri. Inizialmente il mio approccio fotografico era probabilmente simile a molti altri – per documentare ciò che mi circonda, chi fossi in quel determinato momento, i posti, le relazioni, le amicizie. Per certi versi era un archiviare le vite di ciascuno attraverso la fotografia. Nel subconscio il mio interesse si è trasformato nel capire come noi in quanto esseri umani ci adattiamo nella nostra frenetica società, come costruiamo, alteriamo sempre di più il nostro prezioso paesaggio. Ora viviamo in un ambiente in predominanza costruito, sovrappopolato, con cambiamenti climatici; queste sono tutte le forze che ci guidano nella situazione del presente. Come viviamo, cosa creiamo, ciò che alteriamo di conseguenza cambiano il fragile sistema della creazione stessa. La crescente disputa tra natura ed essere umani è stato il motivo iniziale del progetto, ho avuto grande compassione per il nostro ambiente così fragile e allo stesso tempo sono stupito dalle alterazioni umane e dal progresso. Il mio lavoro intende cogliere la bellezza del nostro pianeta e allo stesso tempo i sottili cambiamenti lasciati dalla mano umana.
Feral Fjord è la tua ultima serie, documentario di un viaggio di un mese girando l’Islanda in bicicletta. Parlami di questo viaggio.
Il viaggio è avvenuto dopo che il mio amico Joe Sanders ha attraversato in bici da solo la Francia, la Spagna ed il Portogallo per 5 mesi nel 2014, in quel momento avrei voluto andarci anche io, ma per me non sarebbe stato conveniente. Quando finalmente è tornato nel dicembre del 2014 mi sembrava diverso, più rilassato, più avventuroso, un individuo con una mente molto più aperta. Sbalordito, ho deciso di vivere le stesse sensazioni. Durante il 2015 abbiamo iniziato pensando all’idea dell’andare in bicicletta lungo l’Islanda insieme e il 30 Maggio del 2016 eravamo sulla strada accompagnati dal nostro amico dell’Università Gar O’Rouke. La scelta di viaggiare in bicicletta è stata fatta prima di tutto per vivere più da vicino l’esperienza dell’Islanda, per scoprire la vera natura di questo posto selvaggio. Come artista mi è sembrato giusto documentare questo viaggio, le relazioni che si sono create tra noi e il rispetto per l’Islanda. Durante questo mese, abbiamo girato da Reykjavik e proseguito per il Nord in senso orario, attraversando la costa occidentale, Snæfellsnes Peninsula, i Fiordi occidentali, la Costa Nord, Mývatn, i Fiordi orientali e la costa meridionale.
Perché hai deciso di viaggiare in bicicletta?
Andare in bicicletta è forse il modo più gratificante di vivere il paesaggio, ma è anche una prova per il corpo e per la mente. È l’unica via possibile per sentire l’euforia del vento dell’Artico che ti attraversa sulla montagna, per essere attaccato dagli uccelli marini, infestato da sciami di moscerini, inondato dalla pioggia incessante. È anche l’unico modo per vivere l’euforia dell’attraversare agevolmente strade circondate da fiordi su un lato, con uno stabile vento a favore che ti guida. È molto più lento del viaggiare, ti induce a cogliere molto di più l’atmosfera e ciò che ti circonda. Più i giorni passano più trovi il tuo ritmo, i rituali quotidiani della natura iniziano a diventare normali. Sei ancora più grato di questi momenti quando ti fermi alle 3 del pomeriggio per una pausa, finalmente scendi dalla bicicletta per entrare in un posto caldo con un dolce che stavi bramando da due estenuanti ore. Di solito si danno per scontate queste piccole cose, ma diventano tutto quando sei stanco, a volte bagnato, a volte infreddolito, a volte tutte e tre le cose insieme. La mia vera sfida era l’involontaria battaglia tra lo scattare fotografie e l’andare in bicicletta. Come puoi immaginare, è quasi impossibile fare entrambe le cose armoniosamente.
Perché hai deciso di viaggiare in gruppo?
Non è stata tanto una scelta, ma la realizzazione di un viaggio pianificato in gruppo. I miei due compagni di viaggio avevano precedentemente fatto viaggi in bici in paesi più popolati e adatti per questo mezzo. L’Islanda era una sfida: il paesaggio e il clima sono molto impervi, il paese è scarsamente popolato e viaggiare in bici spesso comporta molti giorni distanti dalla civiltà e dai servizi. In un posto così avere compagnia e supporto emotivo penso sia essenziale.
Puoi descriverci il momento più bello di questi 31 giorni?
31 giorni in bici, giorno dopo giorno, accampati selvaggiamente in posti incredibili, molti momenti memorabili riaffiorano nella mia mente. Uno in particolare prevale tra i miei ricordi, un momento di pura beatitudine e tranquillità come non mi era mai capitato. Dopo due settimane di viaggio nel cuore dei Fiordi occidentali, dopo aver passato tre giorni estenuanti salendo e scendendo strade di montagna interamente di ghiaia e combattendo contro un freddo e pungente vento contrario, felici troviamo noi stessi arrivando nella città costiera di Ísafjörður. Dopo esserci ricaricati, fatto scorte, bevuto caffè nel cafè locale, siamo arrivati nella città lungo il bordo occidentale di quello che è il Greenland Sea, ci siamo seduti volgendo lo sguardo nel vasto vuoto.
La magia del sole a mezzanotte in bilico sull’orizzonte ci portava in uno splendore arancio così intenso che eravamo pieni di un travolgente senso di gioia, incapaci di rientrare nelle nostre tende per non perdere questo bellissimo spettacolo, lì ci siamo riposati e abbiamo lasciato che il caldo arancio brillasse sui nostri volti mentre pensavamo al cammino seguente.
Quali sono state le riflessioni alla fine del viaggio?
Dopo 31 giorni sulla strada, fatti di stanchezza fisica, vestiti sporchi, condizioni difficili e mangiando principalmente porridge e caffè, una volta tornati nel cuore di Reykjavik inizialmente sono stato assalito da una sorta di sentimento euforico di successo, che però è stato immediatamente sostituito dalla realizzazione del ritorno alla vita quotidiana e alla normale routine, con i ricordi però di una grande avventura.
Hai detto: “eravamo liberi di apprezzare la nozione di tempo”.
Con questa frase mi riferivo all’avere tempo per apprezzare qualsiasi momento vissuto, sebbene avessimo una restrizione di 31 giorni, abbiamo scelto di non fare una pianificazione rigida ma solo una bozza per cui siamo partiti con l’idea di prendere ogni giorno come veniva per apprezzare “l’ora”.
Perché scatti solo su pellicola?
Ho studiato usando la pellicola e non ho mai fatto modifiche in digitale, non mi è sembrato necessario, mi è stato comodo usare la pellicola perché adatta al mio approccio alla fotografia. L’analogica offre molti aspetti che la digitale non ha: c’è un certo fascino quando si fotografa su pellicola, non solo per l’estetica ma anche perchè può essere imprevedibile ed estremamente bello. C’è anche il ritmo più lento del lavoro, il costo dei dei negativi, che danno quindi un approccio più pensato. Mi piace anche non vedere ciò che sto facendo, mi aiuta a concentrarmi e non distrarmi dalle immagini che ho già costruito nella mia mente. Se potessi tornare indietro vedendo quello che ho scattato, penso che modificherei il mio lavoro che perderebbe di spontaneità.
Sei interessato alle interazioni tra il nostro pianeta e gli esseri umani. Nei tuoi precedenti lavori ti sei soffermato su questo rapporto indagando entrambi i soggetti di questa ricerca, nell’ultima serie invece ti sei temporaneamente distaccato dalla pressione della moderna società, riservando il tuo progetto alla natura. Quali sono i risultati di questi due differenti approcci allo stesso tema?
Per Feral Fjords ho trovato particolarmente utile prima di tutto considerare la mia visione sull’ambiente o sul paesaggio suburbano. Il mio occhio è naturalmente guidato dalle linee dell’architettura, dalla forma, dalla luce e dalle ombre mentre in Islanda ho trovato me stesso in un ambiente prevalentemente naturale, sfidando la mia percezione dei problemi e della composizione del soggetto. Sono sempre stato affascinato dai confini subconsci tra urbano e naturale che formano al limite i paesi e le città. Quella frangia suburbana dove la società comincia ad allentarsi e si torna indietro nel deserto. Per questo motivo ho trascorso molto tempo nel documentare queste aree, di solito sotto forma di abitazioni o di quartieri stagionali. Quello che mi attira di questo tipo di impostazione è la sua semplicità, c’è una bella coesistenza tra l’architettura un po ‘stravagante e lo spazio e il movimento della natura. In confronto, il mio tempo in Islanda è stato una nuova esperienza, ho insistito nel fotografare nel mio solito stile, ma l’Islanda manca in termini di infrastrutture e mi è risultato difficile in un primo momento trovare un soggetto. Dopo qualche frustrazione ho lasciato che l’Islanda mi parlasse e ho dimenticato tutte le mie solite restrizioni rimanendo sorpreso del risultato.
Qual è stato il tuo viaggio preferito e perché?
Visito spesso la Francia, poiché mia madre è francese; ho trascorso molto tempo nella realizzazione di una serie, recentemente ho percorso una sezione di 35 km del Canal du Midi, da Béziers a Sete. Lo scopo della passeggiata era quello di fotografare il Canale, come si integra intorno ai paesaggi costruiti e naturali. Il Canale è ora dedicato completamente al commercio, al tempo libero e al turismo, è interessante vedere come il canale si sia adattato dall’uso commerciale al piacere. Il mio viaggio è durato 9 ore ed è stato molto più impegnativo del previsto, sono uscito dall’acqua e ho sviluppato dolori gravi nelle mie caviglie e piedi, ma questo fa parte dell’esperienza dei lunghi viaggi. Di gran lunga il mio preferito è stato esplorare l’Islanda in bicicletta, essendo il mio primo tour a lunga percorrenza che mi ha dato la possibilità di desiderare di più aprendomi un mondo di nuove avventure e di nuova fotografia.
Quale sarà il tuo prossimo viaggio?
Mi piacerebbe fare un viaggio in bicicletta da Brighton, Regno Unito, dove attualmente vivo a Montpellier, FR, dove risiede mia madre. Sarà un viaggio solo per la Francia, rivivendo i luoghi delle mie memorie d’infanzia e per esplorare i luoghi che mi hanno raccontato storie. Utilizzando una telecamera a medio formato, lo scopo è quello di documentare questi luoghi della mia infanzia permettendomi di creare la mia rappresentazione dei luoghi raccontati dai miei parenti con grande ammirazione. Fare un giro in bicicletta da solo in tutta la Francia sarà un’opportunità per connettermi con le mie radici e scoprire i luoghi incorporati nella mia storia familiare.