Sul profilo Instagram, Streetviewportraits scrive “Agoraphobia & anxiety limit my ability to travel, so I’ve found another way to see the world“.
Le immagini che pubblica sono frame presi da google street view. Quando l’ho scoperto, lo scroll annoiato della home si è trasformato in stupore e perciò le ho chiesto una breve intervista sulla chat. Abbiamo deciso di limitarci a una veloce presentazione biografica/esperenziale del progetto di Streetviewportraits, ma il suo lavoro apre interessanti suggestioni sul senso dell’autorialità in fotografia nella nostra epoca tecnologica. Ogni frame è ripreso dalla macchina di Google che si muove nello spazio senza alcuna volontà di fare belle foto e assolutamente inconsapevole del suo sguardo random sul mondo. L’azione poetica di Streetviewportraits consiste “semplicemente” nel selezionare e trasportare le immagini dal pc al suo profilo Instagram. Ciò probabilmente non fa di lei una fotografa nel senso pratico della parola, perché non scatta nessuna foto in prima persona, ma a questo punto, chi sarebbe il fotografo, la macchina di Google? Cosa fa di un fotografo un fotografo? Il mezzo tecnico, la formazione culturale o il sapere cosa guardare? La scelta del frame?
La tanto osannata democraticità della fotografia è una chimera narcisistica. Democratica sarà forse la diffusione del dispositivo di riproduzione, non la profondità della visione personale che invece richiede tempo, impegno, studio e esperienze vissute per svilupparsi. Sebbene non scatti alcuna fotografia, Jacqui (questo è il suo nome) è forse più fotografa di molti altri di noi che infestiamo Instagram con panorami e tramonti. I mezzi tecnici creano un’illusione di potenza, ma non tutti possiamo dirci fotografi perché facciamo click, soprattutto se c’è una macchina di google che lo fa per noi. Non sarà una reflex di duemila euro a fare di te un fotografo, si sa.
Ciao Streetviewportraits, chi sei? da dove vieni?
Mi chiamo Jacqui Kenny, sono originaria della Nuova Zelanda, ma vivo a Londra da undici anni.
So che le immagini che pubblichi su Instagram non le hai fatte tu, ma è evidente che dietro c’è un certo gusto nella scelta dei frame. Qual è la tua formazione fotografica o visiva?
Ho lavorato nell’industria cinematografica per molti anni. Ho sempre avuto una grande passione per la fotografia, ma non sono una fotografa professionista. Uno dei miei ruoli principali consisteva in una specie di direzione della fotografia. Aiutavo i registi a elaborare i contenuti visivi dei loro progetti. Per fare ciò ho dovuto guardare centinaia di immagini di grandi autori che sono anche i miei artisti preferiti. John Divola, Stephen Shore, Peter Granser, David Hockney e Massimo Vitali, mi hanno aiutata a formare il mio occhio e a capire ciò che rende buona una foto. Il mio stile e la mia ispirazione proviene da loro. Sono anche una grande appassionata di cinema, quindi ricerco sempre delle scene cinematografiche nelle immagini che scelgo.
Come hai cominciato e come hai scoperto le potenzialità di Google Street View?
Un giorno, mentre facevo una ricerca su Google Street View, mi sono ritrovata senza volerlo a fare degli screeshot di luoghi e soggetti che reputavo interessanti. Dopo aver esplorato il mondo per un po’, ho capito che la telecamera di Google Street View mi stava aiutando a scoprire e a sviluppare un certo gusto estetico, così ho continuato a catturare immagini dal mondo sullo schermo. C’è voluto un po’ per trovare il mio stile, ma venticinquemila screenshot dopo ho sentito che ci stavo arrivando. Su venticinquemila solo centosessanta sono i frame che ho scelto.
Le macchine possono registrare autonomamente la realtà e creare immagini ricche di senso estetico. Secondo te, potranno sostituire, un giorno, gli umani nel fare fotografia di qualità?
Con Google Street View non si possono scattare foto, ma si può ricercarle attraverso miliardi di immagini già esistenti. So che è possibile insegnare a una rete neurale come comprendere il nostro stile o ciò che consideriamo bello o brutto e credo che nel corso del tempo si possono individuare tutte le caratteristiche di una buona foto e chiamare le macchine a giudicarle per noi. Secondo me però le macchine sono ancora lontane dall’avere una sensibilità umana, anche se il livello di automazione che abbiamo raggiunto permette di fare grandi cose. Non ho ancora pensato di fare esperimenti con l’apprendimento automatico, ma mi piacerebbe provare. Sono molto interessata ai processi tecnologici e ai nuovi modi di guardare le cose.
Come trovi i tuoi frame?
Sono attratta da zone abbastanza isolate o periferiche, da architetture interessanti, colori vivaci, cieli azzurri, e soprattutto da una grande luce naturale. Mi piacciono molto le aree polverose perché sembrano dare una qualità pittorica alle immagini. Solitamente mi affascinano i deserti e le città minerarie, sono in grado di offrirmi tutti gli elementi che cerco. Amo esplorare il Perù, Cile, Stati Uniti, il Kirghizistan e la Mongolia.
Sul tuo profilo c’è scritto “Agoraphobia & anxiety limit my ability to travel, so I’ve found another way to see the world” come ti ha aiutato questo lavoro?
Mi ha aiutato in molti modi. In primo luogo, mi permette di esprimermi in modo creativo, e questo mi aiuta a concentrarmi e a mantenere lontani i pensieri negativi. In secondo luogo, mi ha messo in contatto con altre persone che vivono battaglie simili alla mia. L’agorafobia può isolarti dal mondo, questo è semplicemente un modo per sentirmi meno sola. In futuro mi piacerebbe andare nei luoghi che visito regolarmente su Google Street View. Sarebbe molto impegnativo per me, ma mi piacerebbe.
Come stai adesso?
Mi sento molto bene, grazie. Questo progetto mi aiuta davvero ad affrontare le mie paure.