Vertical volume, inner space, empty sculpture, contour of gravity: sono questi i titoli che ricorrono nelle opere di Yasuaki Onishi, l’artista giapponese dell’impalpabile. È la gravità stessa che disegna i suoi paesaggi e le sue sculture sospese, accarezzando delicatamente i contorni di qualcosa che non c’è più. Come già in Tresoldi, la scultura non è più materia, ma Onishi compie un passo ulteriore: si ferma ancora prima, sul contorno liminare della visione, sul bordo dello spazio negativo ritagliato da una presenza scomparsa.
Da un punto di vista tecnico, la sua arte opera come una cassaforma al contrario, come uno stampo evanescente: sopra una serie di scatoloni accatastati in maniera variegata viene posta una membrana traslucida in fibra sintetica, appesa al soffitto tramite filamenti di colla a caldo nera. Il tessuto ricalca quindi i contorni del volume definito dai contenitori, ma, trasposto in negativo, sembra capace di emanciparsi da qualsiasi riferimento contestuale per giungere all’evocazione di un paesaggio al contrario.
Percorrendo le opere, il visitatore è invitato a esplorare dall’interno un ricchissimo mondo di anfratti e gole, vallate, pendici e docili pendii, il volume interno di una geografia. Nasce un ambiente artificiale modellato su logiche naturali, scolpito dal peso stesso della materia. La gravità sbozza le forme già presenti nella composizione iniziale, innestando le proprie morbide regole su di un drappeggio frastagliato in mille pieghe, in una costellazione di eventi geologici.
La formazione di un paesaggio viene condensata in pochi attimi e visualizzata da una linea, da quella superficie con cui in effetti percepiamo abitualmente il paesaggio, bordo di passaggio tra interno ed esterno, tra percezione dei sensi e fisicità dell’ambiente. Un terreno ricco di scambi e connessioni, avvolgente e sublime nella sua presenza maestosa, ma, come Onishi non smette di ricordarci, intimamente fragile e delicato.