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Artwort Architettura Una casa fatta di archi – Il progetto di Tomohiro Hata a Kobe
  • Architettura

Una casa fatta di archi – Il progetto di Tomohiro Hata a Kobe

  • 21 Marzo 2018
  • Ilaria Lucaselli

Nella prefettura di Hyogo, in Giappone, lo studio Tomohiro Hata architect and associates completa con un tassello distinto il mosaico edilizio alle pendici di Kobe. Circondato da edifici e caratterizzato da una forma stretta e allungata, il sito segue la naturale pendenza del territorio. Tomohiro Hata, in opposizione alla regola serrata del tessuto edilizio circostante, interpreta le quote dell’area con un’architettura che si sviluppa su più piani verticali e orizzontali. I grandi archi definiscono una profondità che supera il limite dell’involucro e assicura la continuità tra esterno ed interno.

La facciata dell’abitazione può essere considerata come una sovrapposizione di piani verticali con ritmi diversi dettati da archi e scale che si alternano come su un pentagramma bianco.

L’arco è la soglia tra pubblico e privato, e con lo stesso elemento si modula il grado di intimità rispetto al tessuto edilizio. In corrispondenza degli ingressi, le soglie diventano dei luoghi di sosta coperti. Alcuni ambienti sono distribuiti su più livelli, a tutta altezza. Lo spazio interno non è tanto una successione di stanze quanto un campo libero che incontra alcuni accidenti quali una parete, un arredo, una timida scala o una vetrata. Come se al contrario la condizione esterna si riverberasse all’interno.

L’immagine dello spazio domestico è costruita con l’interazione dei campi bianchi delle pareti, il legno chiaro degli arredi e dei pavimenti, il vetro e le timide componenti metalliche che trovano un’armonia delle parti. La luce infine si nega al contatto visivo diretto.

Nonostante la continuità spaziale, ogni ambiente è riconoscibile nella sua dimensione finita, poichè anche in assenza una chiusura verticale gli espedienti del progetto producono un chiaro cambiamento che si gioca sulle minime alterazioni delle variabili in gioco.

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Ilaria Lucaselli

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