Abbiamo rivolto a Tamás Olajos, artista visivo multidisciplinare specializzato in fotografia e cinematografia che vanta un’esperienza decennale con marchi prestigiosi e in progetti premiati con Unit9, delle domande su London Falling, il suo ultimo progetto fotografico.
In London Falling definisci i tuoi paesaggi astratti, distopici e surreali. Le tue immagini forti, che presentano una Londra nascosta che vuoi svelare, hanno un punto di forza: scenografie come squarci teatrali dove gli attori hanno abbandonato la scena. Così chiunque può raccontare la propria storia?
Questi paesaggi urbani rappresentano il momento esatto in cui si rilascia l’otturatore. I soggetti principali qui non sono gli abitanti, ma l’ambiente, le luci, i diversi oggetti della città. Le immagini suggeriscono tuttavia la presenza di persone che non fanno più parte di questo fotogramma.
Spazi immortalati da luci metalliche, una tensione palpabile che prefigura futuri problematici, forse catastrofici. Luoghi distopici, dove distopìa, al contrario di utopìa, rappresenta una realtà peggiore di quella presente e non promette nulla di buono per il futuro?
Credo che la mia associazione di Londra con dispotica sia solo la realizzazione di una parte oscura della mia vita in questa città. Il tipico clima cupo e le architetture in cemento aggiungono molto a questa sensazione.
Architetture per ambientazioni di storie di fantascienza, di cyberpunk-fantasy, di cyberspazio. Suggestioni di racconti come “The Hungry City” di Philip Reeve e fotogrammi di film dove la sagoma incombente di un edificio ci ricorda quelli di “Blade Runner”. Ci sono tanti riferimenti, influenze narrative e cinematografiche nel tuo lavoro. Vuoi parlarcene?
Essendo un grande fan del cinema, ci sono sicuramente influenze da film, per lo più sci-fi che non sono collocati troppo lontano nel futuro e che si può immaginare si svolgano nel nostro mondo. Adoro le immagini in Blade Runner e il mondo di 1984 di Orwell. Da cineasta, creo l’inquadratura come parte di un film.
“Do not enter, do not obstruct, no smoking, no parking, no cycling.” Un mondo di divieti dove gli uomini paiono obbligati a conformarsi a regole di vita che limitano libertà e fantasia, relegati in universi claustrofobici. London Falling significa anche questo?
Questi cartelli fanno parte della vita di tutti i giorni a Londra. Li vedi dappertutto e obbedisci e in questo modo diventi organico alla società.
Il progetto ha previsto anche limitazioni tecniche. Uso una fotocamera Sigma Dp1 che è molto lenta, non adatta alle condizioni di scarsa illuminazione e ha una lunghezza focale fissa, quindi devo assolutamente pensare alla giusta composizione prima di scattare. È un po’ come fotografare con una cinepresa. Ho anche le mie regole di composizione e contenuto.
In una recente intervista hai affermato “My main focus is on the places and feelings that Londoners may know but haven’t noticed even if they pass by them every day. The project’s name reflects my connection with the city.”. Il progetto guarda anche altre realtà, un’esplorazione in diverse città. Diverrà una specie di diario di bordo dei tuoi viaggi alla scoperta di spazi nascosti?
London Falling è iniziato come un photoblog e lo è ancora. Viaggiare è parte della mia vita e del mio lavoro. Mi sento come se potessi approfondire il mio rapporto con la città che sto visitando o dove vivo, esco e la esploro mentre la immortalo nel progetto. La mia base attuale è Budapest, ma ho anche in London Falling degli spin-off di altre città, come Los Angeles, New York o anche Belgrado.