Abbiamo intervistato Francesca Perani, architetta e curatrice del progetto RebelArchitette, per parlare di architettura e disparità. RebelArchitette è un team di attiviste digitali che lavora sulla sensibilizzazione alle disuguaglianze nel campo dell’architettura, a cominciare dalle disparità di genere. Negli ultimi anni il team si è occupato di promuovere una visione inclusiva della professione, tramite la diffusione di modelli di riferimento, segnalando disequilibri tra relatori e relatrici nella partecipazione agli eventi di architettura, promuovendo l’utilizzo del termine architetta e l’importanza della sua applicazione nel timbro professionale.
Tra le vostre battaglie c’è il riconoscimento professionale del titolo Architetta. Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato, soprattutto proprio da parte di architette, a definirsi con questo termine?
Riteniamo fondamentale al raggiungimento della parità nella professione la diffusione di un termine che esiste da sempre ma che non viene utilizzato esclusivamente per motivi di abitudine. Noi stesse eravamo abituate a definirci con un termine maschile e, solo dopo un attento approfondimento sul tema, abbiamo avuto conferma di quanto l’utilizzo dei femminili nelle professioni ci renda visibili.
Siamo tra i paesi latini più sessisti anche a causa di questa reticenza alla diffusione di termini quali avvocata, sindaca, ministra, medica, ingegnera, …(ruoli apicali o storicamente a maggioranza maschile). Ora però le studentesse in università e le iscritte agli ordini d’Italia under 30 superano i loro colleghi maschi: è il momento di tutelare la loro attività.
Le architette che non si sentono ancora a loro agio nel definirsi tali, normalmente cercano di giustificarsi dicendo che non amano il suono della parola o che non sono convinte della correttezza grammaticale, non si basano, in realtà, su motivazioni tecniche ma solo su sensazioni.
Per fortuna il cambiamento è già in atto ed è inarrestabile, le giovani professioniste stanno già ampiamente utilizzando il termine così come molte giornaliste attente e sensibili alla giusta evoluzione del linguaggio.
E da parte di altri soggetti, come Ordini Professionali, clienti o ambiente accademico?
Gli Ordini professionali e il CNAPPC (Consiglio Nazionale), che dovrebbero tutelare le pari opportunità ad iscritte e iscritti, sono a conoscenza della nostra richiesta di poter ottenere il timbro al femminile ARCHITETTA ma sono ancora restii alla sua applicazione.
Bergamo, Roma, Lecce, Napoli, Milano,Torino, Udine l’hanno già adottato (beneficiando un terzo di tutti gli iscritti d’Italia, circa 50.000) grazie alle richieste inviate dalle professioniste, sfortunatamente Bologna, Massa Carrara, Terni, Teramo negano questo importante strumento di eguaglianza, altri ordini non sono interessati al tema mentre altri utilizzano già la dicitura neutra arch..
I clienti non hanno alcun problema ad utilizzare il termine. In ambiente accademico non siamo a conoscenza di quanto sia diffuso da docenti, ma certamente lo è già tra le studentesse.
Il binomio architetta/architetto potrebbe essere motivo di esclusione verso chi non si riconosce in un sistema binario. Come vi relazionate con questa questione?
Qualora venissero identificate da linguisti/linguiste modalità di declinazione più inclusive di adesso noi saremo felicissime di utilizzarle, ma ciò non toglie che ad oggi la nostra richiesta sia molto semplice: la lingua italiana prevede maschili e femminili in tutte le professioni, in spagnolo esiste arquitecta in portoghese arquiteta, l’utilizzo di architetta è un diritto di pari accesso al lavoro che non può più essere negato.
Siete molto attive nella diffusione delle pratiche di architette, dai social alla pubblicazione open source Architette = women architects here we are! oltre che alla campagna #retotebagrevolution in cui il nome di architette modello viene indossato stampandolo su vecchie tote. Credete che negli ultimi anni il ruolo delle architette come modello ispiratore si stia rafforzando? Avete visto dei cambiamenti significativi da quando avete iniziato a lavorare sul tema?
Certamente le statistiche inerenti la consultazione del libro ci confermano una grande curiosità e necessità di approfondimento in merito al mondo delle Architette; in tre anni abbiamo avuto 17.000 lettori/lettrici da tutto il mondo, principalmente dall’Italia, ma anche da Stati Uniti, India, Regno Unito e Australia. Vediamo sempre più spesso architette della nostra curatela invitate ad eventi o nominate nelle giurie e intervistate. Ora chi è in cerca di un nuovo modello di ruolo può farlo anche sul sito dove ne trova più di 732 provenienti da tutto il mondo, mentre le campagne di attivismo “grafico” come la #retotebagrevolution sensibilizzano in merito al tema delle quote di genere nel mondo dell’architettura: #timefor50 #tempodiparità .
Mi chiedo se, enfatizzando la figura delle architette, di ritorno rischino di essere percepite come una categoria a parte – quella dell’architetto donna. Quindi, invece che raggiungere equità con i colleghi, vengano riconosciute come una sotto-categoria professionale, con canali dedicati, premi, riconoscimenti e sbocchi lavorativi specifici. C’è il rischio che l’attenzione sul lavoro delle architette porti alla creazione di un’etichetta di genere? Vi siete poste questa questione, e come pensate di affrontarla?
Statisticamente siamo già una categoria a parte, invisibile e discriminata. La situazione non può che migliorare se davvero lo vogliamo. I premi dedicati, le ricerche specifiche e le attività portate avanti dalle associazioni di tutto il mondo hanno dimostrato invece il loro potere di diffusione di nuovi modelli femminili. Le architette esistono nel momento in cui si smette di chiamarle architetti donna e se nasceranno etichette le affronteremo. Le artiste sono etichettate? Le giornaliste?
In #Timefor50 mappate criticamente una serie di eventi pubblici di architettura: appare evidente che tra gli ospiti invitati le architette sono generalmente in minoranza, e addirittura si assiste anche a eventi dove a parlare sono solo uomini. Cosa consigliate di fare in questo caso? Avete elaborato proposte di azione per contrastare questo fenomeno?
Sì, abbiamo rilevato come in Italia si sottovaluti ancora la presenza delle relatrici agli eventi pubblici di formazione (il 37% di 411 eventi svolti tra il 2017 e il 2018 ha avuto esclusivamente relatori #manels). Proponiamo ai nostri colleghi e alle nostre colleghe di boicottare le iniziative, i concorsi, corsi in cui non siano presenti professioniste e di i segnalare questi eventi utilizzando l’hastag #timefor50 #tempodiparità, per richiedere con forza una presenza equa.
La figura dell’architetto è stata sempre tradizionalmente associata a un’idea di potere, oltre al genere ci sono tantissime altre discriminazioni legate al discostarsi dallo stereotipo dominante come la provenienza e, soprattutto in Italia, l’età. Quali sono altri tipi di disuguaglianze in architettura su cui vorreste lavorare nei prossimi anni? Avete già qualche idea di temi e campi di azione?
Certamente, ci interessa affrontare le condizioni che discriminano di più tra cui la questione della Partita Iva e degli stage sottopagati, in generale le condizioni assurde a cui i giovani e le giovani architette devono sottostare per poter mantenere la professione. Il sistema Architettura (in crisi) per sopravvivere ha bisogno di un profondo cambiamento strutturale che va al più presto attuato.
Oltre all’attivismo online avete anche una ricca agenda di incontri offline. Insieme a conferenze, flashmob e operazioni di diffusione diretta, state già creando o creerete occasioni di incontro e scambio diretto tra professioniste, per discutere insieme di difficoltà comuni e ideare strumenti per combattere le discriminazioni più sottili?
Continueremo a realizzare eventi specifici #archichatnights nelle città italiane: Bergamo, Milano e Bologna sono state le prime, ma ne abbiamo in programma altre per il futuro. Sono grandi occasioni di sinergia volutamente rivolte ad un pubblico giovane e organizzate grazie alla collaborazione con associazioni e studi locali.