Nel contesto della comunicazione (post)contemporanea, il lavoro artistico di Guildor (pseudonimo di Guido Tarricone, nato a Milano nel 1983) si incentra sull’utilizzo sempre più assiduo della parola come materia, e sulle costanti regole – o imposizioni – alla quale essa è sottoposta: una pratica che genera cortocircuiti e che si sviluppa reiteratamente.
Partiamo dalla sua performance Letters to Adecco. Qui il linguaggio da semplice diventa poetico proprio grazie all’elemento di realtà, ossia una discussione intercorsa davvero con l’amministrazione di Adecco. In questa performance, l’artista invia una serie di e-mail al suo datore di lavoro, descrivendo le sue occupazioni durante quello che è diventato il suo tempo libero alla fine dell’assignment previsto dal contratto a zero ore: Guildor è ancora vincolato, ma in pratica non ha mansioni. Questo linguaggio è dunque un mezzo per riflettere sul rapporto precario tra impiegato e superiore, nonché sul fallimento di questo tipo di produttività.
Un’altra prospettiva di riflessione è presente in Immaginami felice, se devi, uno degli ultimi lavori dell’artista. Qui Guildor continua a interrogarsi sull’evoluzione del linguaggio. Già il titolo, di fatti, può ingannare e confondere. Dietro questo imperativo collettivo alla felicità si cela un malessere del singolo, che non corrisponde alla narrazione fatta dal sistema e dalle tecnologie con le quali comunichiamo nel nostro quotidiano. Ci racconta: «Credo che a partire dagli sms, e fino alle moderne chat di messaggistica, sia stata erosa sempre di più la barriera tra linguaggio scritto e orale». Questa erosione del formale, insieme alla gratuità dei messaggi, ha portato a dividere le comunicazioni in piccole bolle, micro-testi i quali non necessariamente hanno una relazione tra loro o una coerenza strutturale. Così questa divisione in bolle ha sostituito la punteggiatura che, a meno di non essere strettamente necessaria, viene percepita come distaccata, troppo formale e meno onesta; un esempio è l’utilizzo sempre più raro del punto in chiusura di una frase. Per dimostrare ed enfatizzare questo sgretolìo del linguaggio, l’artista riporta alcuni stralci di queste bolle di testo, che vengono narrate dalla sua voce anziché visualizzate su uno schermo.
Troviamo la stessa matrice concettuale, ma in forma differente, in At the speed of feelings. Questa performance approfondisce come il linguaggio si relazioni ai sentimenti, che vengono consumati, fagocitati in enormi quantità senza più essere metabolizzati. Nonostante il sistema dei messaggi di testo sia per sua natura asincrono (perché l’invio e la ricezione avvengono in due momenti diversi), quando visualizziamo un messaggio sentiamo che lasciare l’interlocutore in ulteriore attesa possa provocare sofferenza, forse proprio a causa di questa asincronicità della comunicazione o di una più generica e angosciante paura del ghosting. Inoltre, le doppie spunte blu hanno enfatizzato il bisogno di una risposta immediata, portandoci a rispondere di getto, senza far depositare i pensieri. Alla luce di queste considerazioni, Guildor fa masticare freneticamente ai performer di At the speed of feelings dei chewing-gum colorati, che producono in loro diversi effetti. La metafora, ovviamente, è quella di ingurgitare sentimenti a non finire, ma senza un reale riscontro emotivo.