Abbiamo incontrato il fotografo Mattia Baldi per farci raccontare la sua attività e la sua ricerca artistica nata nell’ambito famigliare, che era ed è un punto cardine costante di crescita, proseguita con studi al Liceo Artistico, una laurea all’Accademia di Belle Arti di Roma e nel 2004 il Master in Fotografia presso la Scuola romana di Fotografia e Cinema. Una ricerca che continua tutt’ora a Bangkok, dove risiede da tempo e dove ha avviato il suo studio fotografico, dopo venti anni di vita, passione e lavoro vissuti tra Pechino, Singapore, Shanghai. Nel 2020 è uscito il suo libro fotografico in bianco e nero Casting – A book about women, un approfondimento sul tema della bellezza femminile senza trucchi, più vera, libera, naturale e lontana dagli standard di bellezza dettati dai social media.

La tua formazione artistica è iniziata in famiglia, dal prozio Raffaele Baldi – fotografo attivo negli anni ’20 e ’30 che aveva conosciuto Marinetti ed era parte della fotografia futurista in maniera attiva sin dal Manifesto – a tuo padre Mauro che sin da giovane si è avvicinato alla fotografia lavorando come photo editor e giornalista per diverse case editrici. Diciamo che sei un predestinato all’arte della fotografia anche se altri interessi in famiglia hanno sempre attirato la tua attenzione, come la letteratura e le religioni. Parlaci di quegli anni fondamentali per la tua formazione, lo studio di fotografi famosi come Irving Penn, Helmut Newton e Ansel Adams, il lavoro in studio e la fotografia di grande formato, il cinema e i casting di modelle e attori nella Roma agli inizi degli anni 2000.
Devo dire che non ebbi una reale coscienza di chi fosse stato il mio prozio fino a dieci, quindici, anni fa. Quando ero piccolo mio padre non me ne parlava moltissimo o forse ero io che ascoltavo poco. La fotografia e i libri dei grandi fotografi circolavano a casa quando ero bambino ma non ne sono mai stato particolarmente affascinato, mi piaceva la pittura. Mi piaceva disegnare e dipingere già da quando avevo cinque anni, a scuola ero un disastro perché non facevo nient’altro che scarabocchi. Ebbi la fortuna di avere un ottimo professore di Educazione Artistica alle scuole medie che mi indirizzò verso il Liceo Artistico con la specializzazione Accademia. Eravamo in pochi, ancora meno quelli volenterosi. Si disegnava tante ore alla settimana e non sempre avevamo insegnanti competenti. Durante il liceo presi una vecchia Nikon FM e cominciai a scattare istantanee della mia vita. Capitai nell’ambiente del cinema e feci diversi book a modelle e attrici fra cui alcune oggi famose. Finito il liceo iniziai l’Accademia di Belle Arti, classe di Pittura, e in quel momento presi la macchina fotografica più sul serio vedendo i lavori di Stephen Shore, William Eggleston e Robert Adams. Avevo capito che si poteva fare l’Arte anche senza pennelli e colori. Era un’arte che aveva a che fare con il reale e questo mi intrigava moltissimo. Irving Penn, Helmut Newton sono quello che volevo scattare, quello che per me rappresenta tutta la fotografia che mi interessa. Una delle mie prime serie fotografiche fu su alcune sottoculture romane come quella del Metal o Goth. Tutto in bianco e nero in 4×5, stampato da me. Lo portai come tematica a diversi esami in Accademia dove, dal primo anno in poi, ebbi sempre la borsa di studio per merito.

Con il trasferimento in Asia per approfondire il tuo interesse per il taoismo, le religioni orientali e le credenze tradizionali cinesi, iniziano i grandi cambiamenti della tua vita, nuove visioni sul mondo che si rifletteranno inevitabilmente nella tua ricerca fotografica. La prima destinazione Pechino, prima delle Olimpiadi del 2008, un’esperienza incredibile che poi è diventata un libro e che si è protratta per più di sei anni. Hai lavorato per importanti marchi e insegnato fotografia alla Beijing Capital Normal University. Raccontaci di momenti impressi nella tua memoria, sintetici e luminosi come dei flash fotografici.
Dopo l’Accademia vinsi un premio in denaro con un concorso di pittura che mi consentì di conseguire un Master alla Scuola Romana di Fotografia e Cinema. Non avevo molte conoscenze nel mondo del lavoro e mi arrangiavo facendo il fotografo dove capitava già da diversi anni. Ho sempre coltivato la passione per il pensiero antico cinese e, seppur non parlando né inglese né tantomeno il cinese, ebbi l’idea di trasferirmi a Pechino nel 2006. Mi sembrò una scelta azzardata ma giusta poiché la Cina stava aprendo le sue porte all’Occidente e pensai che ci poteva essere una possibilità di inserimento professionale. Ero e sono convinto che per muoversi in un altro Paese bisogna conoscere e apprezzare la cultura, stimare alcuni aspetti fondamentali, oppure tutto diventa molto superficiale e lascia poco nel proprio percorso. I primi anni furono ovviamente molto duri, imparai prima bene l’inglese. Dopo qualche anno avevo una rete di contatti che mi consentiva di operare in vari settori dell’arte applicata, dalla grafica al web design fino alla partecipazione di mostre con i miei lavori. Insegnai all’università per qualche anno e poi per un progetto per la scuola internazionale canadese. Lavoravo, imparavo due lingue e praticavo Taijiquan. Ero molto felice, avevo una bella bicicletta ed ero pieno di voglia di fare.

Nel 2013 torni in Italia ma poi ti trasferisci in Thailandia, a Bangkok dove vivi attualmente, invitato dall’agenzia pubblicitaria WPP e lavori come photo editor e poi come lead photographer in molte campagne pubblicitarie di successo. Sono gli anni di nuove scoperte, nuove visioni, nuove conquiste in ambito lavorativo e di ricerca. Un confronto della tua fotografia prima di Pechino e adesso, influenzata dal mondo orientale?
Intorno al 2011/12 la Cina cambiò completamente atteggiamento con gli occidentali residenti e gli expats in generale. Quel momento a cavallo delle Olimpiadi era finito e il governo attuò un processo di scrematura che mi lasciò con molti dubbi sul futuro. Il lavoro andava molto bene ma decisi di lasciare tutto e tornare in Italia dove iniziai a lavorare come photo editor per l’ENI. Imparai moltissimo su come si lavora in azienda ma imparai anche che non era la vita che volevo fare. Così aprii uno studio fotografico con un amico nella storica sede di via Giuseppe Arimondi accanto al “Lost and Found”, lo studio di Angelo Cricchi. Un periodo che ricordo con piacere, molto creativo e introspettivo. Mi arrivò un giorno una proposta da una grande agenzia pubblicitaria (WPP) a cui seguirono diversi colloqui e qualche test. Ero stato preso. Il luogo di lavoro era Bangkok che, seppur in Asia, era l’Asia del sud che non avevo mai visitato.
A Bangkok il nostro cliente era Ford, rapidamente imparai cosa significa la fotografia di autovetture e come funziona lavorare in una grande agenzia pubblicitaria. Parallelamente scattai moltissimi editoriali di moda, book a modelle e modelli e acquisii diverse campagne pubblicitarie per clienti internazionali. Avevo un background che mi consentiva di assimilare le caratteristiche di qualsiasi stile fotografico necessario al progetto da svolgere. Se penso a quello che scattavo a Pechino lo vedo oggi come un momento in cui volevo veramente ammirare una nazione in cambiamento, sono stato testimone in quegli anni di un fenomeno incredibile. A Bangkok sono entrato nella fotografia commerciale di alto livello e quindi tutto si è fatto più chiaro a livello professionale. Dopo due anni mi inviarono a Shanghai, sempre sul cliente Ford, e lì ho approfondito ancora di più la fotografia in studio, il rapporto con il cliente e come gestire le riunioni. Ho lavorato a Singapore per uno grosso studio commerciale e in quasi tutta l’Asia del sud ho clienti e agenti.
In “Casting – A book about women” abbandoni il mondo patinato delle modelle, delle foto–cartolina, dei ritocchi con photoshop e mostri la bellezza di donne che quasi non si riconoscono guardandosi nelle tue immagini. Sono fotografie scattate in esterno, al 30° piano da dove si ammira tutta Bangkok. Donne fotografate che ritrovano la propria immagine, la propria identità, lontane dagli stereotipi che vengono richiesti e a cui sono abituate. Un ritorno, il tuo, alla “realtà delle immagini” lasciando loro la libertà di esprimersi, non suggerendo indicazioni ma fotografandole in pieno sole, la luce naturale che più si addice alla semplicità e alla purezza delle tue immagini. Parlaci di questo tuo libro fotografico che racchiude le storie e la bellezza di tante donne.
Casting è un sentimento nato dopo il lavoro svolto negli ultimi anni. Sono impressionato da come sta cambiando la percezione umana della bellezza. Le moderne tecnologie ci faranno vedere cose che non esistono, la realtà aumentata, i nostri volti saranno percepiti come vogliamo. Una star di Hollywood, un amico che amiamo, un insegnante che ci piace. Il modo in cui guardiamo, l’impressione naturale che il nostro sé biologico dà agli altri sarà gradualmente meno importante nel prossimo futuro. Mi piace sempre un tipo di fotografia che disegna un’idea, una composizione di ombre utilizzando elementi della vita reale. Se la fotografia si basa su qualcosa che non è reale non è fotografia ma qualcos’altro.
Mi piace quando le modelle, che spesso si vedono soltanto attraverso le loro compcard promozionali o nei post di Instagram, reagiscono al mio lavoro in modo molto emotivo. La maggior parte di loro non ha mai visto la propria faccia nel modo in cui le ho fotografate, diciamo naturale e senza alcun tipo di miglioramento. Sono felicemente sorpreso che a loro piaccia il mio lavoro, spesso mi chiedono di scattare di nuovo o mi introducono a modelle amiche. Immagino che sia un buon segno, le persone vogliono ancora avere un ricordo di come sono o sono felici di vedersi in un modo più onesto. L’atmosfera del mio lavoro non è celebrativa, non tende a valorizzare ulteriormente i soggetti e vuole essere un contenuto grezzo della realtà. Soprattutto qui dove vivo, Bangkok, gli standard di bellezza sono una questione complicata. I thailandesi passano più tempo su Social Media di chiunque altro e le giovani generazioni stanno crescendo con standard di bellezza virtuali.

L’ultima domanda è rivolta al futuro. Fotografia, progetti, viaggi, desideri, sogni…
Sicuramente Casting è un progetto a lungo termine, seguiranno altri casting, altre facce. Devo ringraziare Stefano Vigni e Chiara Narcisi della Seipersei per lo straordinario impegno nel realizzare questo libro di una qualità di stampa veramente eccellente e che, nonostante il momento così difficile, è distribuito in tanti bookstore un po’ in tutto il mondo, dalla Cina all’Europa fino in America. Sto pensando ad una mostra itinerante, Giulio Limongelli realizzerà dai miei file delle stampe su carta analogica. Anche una ristampa del libro potrebbe essere considerata, magari una nuova versione con più immagini rispetto alla prima, ma è ancora tutto da valutare.
C’è un frase che mi viene in mente tratta da “Le Citta’ Invisibili” di Calvino “Se ti dico che la città a cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.”
