Abbiamo rivolto alcune domande a Makiko Asada, artista di Tokyo che vive e lavora a Milano dal 1997 dopo essersi trasferita dal Giappone per studiare scultura alla NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) con Hidetoshi Nagasawa – scultore giapponese tra i fondatori della “Casa degli Artisti” a Milano – e diplomarsi in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Le sue opere spaziano dalla pittura alla scultura ed emanano quel fascino particolare che ci fa pensare ad una sintesi perfetta tra l’arte orientale e occidentale. Ci racconta le sue esperienze artistiche e la sua vita in Italia e poi i suoi progetti futuri legati all’energia dell’universo e alla potenza dirompente dei vulcani, che sempre l’hanno affascinata ed ispirata.
Ci racconti quegli anni e la tua scelta di vita che ha comportato cambiamenti fondamentali che hanno influito anche e soprattutto sulla tua arte? E cosa ti ha colpito di più della cultura italiana, del modo di vivere così diverso e come ha influenzato la tua visione artistica ma anche di vita quotidiana?
Raccontaci un flash: la prima volta in piazza del Duomo…
Ho deciso di trasferirmi a Milano per studiare scultura con Nagasawa, perché negli anni tra 1993 – 1996 avevo visto 5 sue mostre personali nel mio paese da cui sono rimasta molto colpita e quindi desideravo conoscerlo.
Il trasferimento in Italia ha comportato un importante momento sia per la mia crescita artistica che per la mia crescita personale: per la prima volta mi sono confrontata con le attività della vita quotidiana.
Per quanto riguarda l’Italia, mi ha impressionato la vostra cultura dell’ospitalità e l’importanza della socialità che si esprime nell’accoglienza nelle vostre case, nell’attenzione per la cucina e in un abbigliamento molto curato ed elegante. Noi Giapponesi siamo più restii ad aprire le nostre case agli altri.
Dal punto di vista artistico, dopo essermi trasferita in Italia ho sentito fortemente la necessità di tornare alle mie origini in termini di essenzialità della mia arte, ho eliminato gli elementi lontani dalla mia indole per esprimermi in modo onesto.
Ho visto la piazza del Duomo per la prima volta nel 1985 in occasione di un viaggio di 2 settimane in Italia con la mia famiglia. Allora c’erano dei lavori importanti in corso perciò la piazza non era accessibile né visibile.
Quando sono arrivata a Milano nel 1997 in realtà ho avuto la sensazione di “essere tornata”. Ho avvertito l’importanza della piazza come luogo di socializzazione e ho avuto la sensazione che fosse molto amata dal popolo.
Nelle tue opere si mischiamo inevitabilmente due culture, una osmosi continua, un’influenza reciproca quasi come un lento flusso che scorre nella mente e, tra le tue mani d’artista, riesce a coniugare ed integrare suggestioni, incanti e la raffinatezza ineguagliabile dell’arte giapponese. Penso alle tue mostre personali “Stromboli – Viaggio al centro della Terra II” – esposta all’Art Space Kimura ASK a Tokyo e a “Stromboli – Viaggio al centro della Terra III” esposta al Consolato Generale del Giappone a Milano – dove il giallo limone dello Stromboli è il filo rosso che unisce immagini con diverse inquadrature come flash fotografici che ci invitano a seguire quel filo di fumo bianco. Qui cito una tua frase: “Dipingo con la tempera e sono una drogata del limone e della prosperità!”
Sì, è vero: mi viene naturale farlo, in realtà non mi sono mai posta l’obiettivo di mischiare queste due culture. Un esempio di questa “osmosi” è visibile nella mia passione per i vulcani italiani che rappresento utilizzando una tecnica pittorica giapponese caratterizzata dall’uso di ossa di pesce come legante e da superfici opache.
Per realizzare il giallo limone dello Stromboli ho utilizzato la cera d’api che trovo un materiale molto interessante, con un buon profumo e pieno d’energia, rispetto ad esempio alla paraffina.
Fondamentale nella tua ricerca artistica è proprio l’uso dei materiali. Dalle tempere su carta con tuorlo, pigmenti di alluminio, colla di coniglio, cera d’api, cemento, polvere di marmo alle sculture di terracotta, legno, ferro, gesso, garza, tessuti e pigmenti, catarifrangenti per bicicletta, tessuto di paracadute. Quando e come nasce la scintilla per creare una nuova opera, la sua progettazione, elaborazione, la scelta dei materiali e un quid che la rende unica ai tuoi e ai nostri occhi?
Cerco di usare sempre materiali naturali con qualche piccola eccezione.
Quando realizzo delle sculture creo prima di tutto l’opera in creta e poi la rivesto con gesso come se ci fosse una parte “femmina”, poi tolgo la creta e inserisco la plastica liquida che è la parte “maschio”, infine distruggo il gesso e ottengo l’opera finale.
All’inizio, quando ero in accademia nel mio paese, ho utilizzato plastiche liquide, lana di vetro e catalizzatori. Tuttavia non mi piaceva usare sostanze nocive.
Ho cercato sempre i materiali adatti per ogni opera ad esempio ho usato dei catarifrangenti per rappresentare una persona che aveva una sua vita solo quando c’era della luce a colpirla.
Inoltre, sono sempre attenta a non adoperare i materiali di tendenza di un dato periodo. Uso dei materiali “universali” e non legati alle mode. Penso che le opere d’arte contemporanea che utilizzano i materiali di “tendenza”, con il trascorrere del tempo, molto spesso diventano delle opere vecchie, poco significative per il pubblico di periodi successivi che non riesce a cogliere il significato attribuito loro dall’artista.
Ogni mattina scrivo una pagina del mio diario: è come buttare fuori tutti i pensieri che ho accumulato nei giorni precedenti. Li leggo dopo molto tempo e trovo sempre dei germogli di idee che non ho fatto crescere, ne scelgo uno e lo “innaffio” ogni giorno fino a dargli una forma.
Per la tua mostra personale “Qui – La vita e l’estasi di Bernadette” allo Spazio Lumera di Milano nel 2009, hai esposto opere riferite alla storia di Bernadette, la giovane donna che ha assistito alle apparizioni della Madonna nella grotta di Massabielle, a Lourdes nel 1858. Il tuo nome, Makiko, tradotto in italiano significa “pastorella” o anche “piccolo prato”. Ci racconti la storia che lega il tuo nome alla storia di Bernadette?
Ho deciso di realizzare la mia mostra Bernadette Soubirous perché nel 2009 sono stata battezzata nella chiesa di San Gaetano di Milano, ho scelto io il nome di battesimo Bernadette, poiché nell’anno precedente ero stata a Lourdes con il mio futuro ex marito che in tale occasione mi chiese di convertirmi. Ci ho pensato solo 2 secondi.
Il mio approccio con la religione cattolica è avvenuto grazie alla conoscenza delle opere d’arte sacra gotiche e rinascimentali. C’è stata un’immediata affinità!
A Lourdes ho visto tantissime persone, uomini e donne, giovani e anziani. Ho visto un’anziana negli ultimi istanti della sua vita, e nonostante la tragicità del momento, sul suo viso c’era un’espressione di serenità e pace.
Dunque, ho voluto fortemente ringraziare e dedicare a Bernadette le mie opere.
Come procederà la tua ricerca artistica e puoi anticiparci il progetto di alcune opere che hai in cantiere?
La mia ricerca artistica è concentrata sull’energia infinita del nostro pianeta e del nostro universo. Desidero utilizzare le fonti di energia del vulcano vivente. Quando vedo i video delle eruzioni dello Stromboli e dell’Etna, la loro bellezza, spontaneità e inevitabilità delle espressioni mi fanno emozionare. Quando sono stata nell’isola di Stromboli, ogni quarto d’ora il vulcano “Iddu” respirava e sentivo il suo sospiro.
Un altro progetto che mi interessa è Photon Belt. Secondo i miei approfondimenti, dopo il 2012 le attività vulcaniche sono aumentate di 5,1 volte, perché il nostro pianeta è entrato nella lunga fase della Photon Belt che durerà circa 2000 anni. Per me è un argomento affascinantissimo da approfondire perché mi sento felice e privilegiata di essere un’abitante del nostro pianeta, sono consapevole di essere una dei componenti del nostro universo e potere ammirare il sole e la luna, amare le persone e l’anima della natura.