Il prossimo venerdì 21 ottobre Disco_nnect celebrerà otto anni di attività in una delle location più suggestive di Firenze: il Castello di Vincigliata a Fiesole, con un evento che vede tra i suoi protagonisti alcuni dei nomi di riferimento della nuova onda elettronica internazionale come l’inglese Call Super e la russa Inga Mauer, e italiana con Caterina Barbieri, Lorenzo Fortino, Umanzuki, MMXXX 2030 e Loudtone. Autore di una grande installazione site specific sarà un artista emergente della scena italiana, Moallaseconda.
Moallaseconda è Jacopo Buono, pratese classe 1988. Ha studiato Grafica all’Accademia di Belle Arti di Firenze e ancora oggi produce lavori monotipo su carta con una personalissima idea di stampa basata sull’uso della materia come matrice. Ma sono il muro, la strada e la città i suoi supporti prediletti. La sua ricerca artistica, staccandosi dal muro, ha conquistato plasticamente lo spazio ma utilizzando sempre le ricchezze formali offerte dalla strada: i rifiuti urbani prodotti dalla popolazione locale hanno ispirato le forme estetiche ideali. L’arte di Moallaseconda, sottolinea il senso effimero e transitorio delle creazioni artificiali, persino della spazzatura, con un carattere performativo, perché nasce dal contributo dell’intera popolazione. L’artista non esiste più se non come spettatore attento di questo processo inesorabile. Le sue installazioni, spesso catturate da foto e video, diventano summa poetica dei suoi grafismi, tracciati non più sulla carta ma nello spazio fisico, assumendo l’immagine di una texture tridimensionale.
Raccontaci qualcosa sulla tua formazione.
Ho studiato grafica presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze, che sicuramente ha contribuito alla mia crescita, ma ritengo molto più importante quello che ho imparato per “strada”. Quasi tutto quello che faccio è frutto di idee e ispirazioni che provengono direttamente dal mondo esterno, essendo cresciuto in una città, Prato, che considero un piccolo museo a cielo aperto, per la sua storia, sia passata che contemporanea, e per le ispirazioni che possono dare i vari quartieri, in pratica una metropoli concentrata.
Come sei passato dalla street art alle installazioni? Qual è stato il processo?
Ho iniziato dalla strada, ma non sono ne ero un writer. Mi piace quel mondo, ma personalmente non m’interessa praticarlo. Fin da subito ho iniziato disegnando per poi proseguire fino ad oggi. Da sempre sono stato un amante della materia, avevo il classico vizio di ri-prendere gli oggetti che trovavo per strada per portarli a casa. Così un giorno, un’evoluzione naturale, mi sono ritrovato a fare un assemblaggio di materiali in un cantiere di lavoro e da li quel percorso è iniziato e tutt’ora è in fase di evoluzione.
La transitorietà e il senso effimero è nel dna del writing come del tuo specifico lavoro sulle installazioni. Perché ti interessa e come la interpreti?
Certo per me è essenziale l’effimero. Penso che in questo periodo storico, bisognerebbe puntare ancora di più su quest’aspetto perché è di questo che abbiamo bisogno ed è questo che siamo. A mio avviso, non contano più le opere monumentali che durano in eterno, non hanno senso in questa società. Siamo dominati e condizionati dall’effimero, soprattutto per colpa di internet e dei social. Se carichi un tuo lavoro sul web il giorno dopo è già vecchio e sepolto. Da una parte questa cosa può apparire triste, ma noi siamo lo specchio della società in cui viviamo e quindi penso sia giusto così.
Come si lega il linguaggio della performance con quello della installazione nei tuoi lavori recenti?
Non avevo mai pensato alla perfomance prima dell’ultimo lavoro installativo che ho fatto, “Ex Trenne News Three”. Era un’installazione di un mese, dove ogni giorno intervenivo per cambiare e portare avanti la forma dandogli anche un senso di racconto. Alla fine mi sono reso conto, e molte persone me l’hanno suggerito, che avevo fatto una perfomance anche se non me ne ero reso conto. Per i lavori che riguardano il tempo e i luoghi pubblici, l’aspetto performativo è fondamentale e anche incosciente, perché nasce come una cosa naturale in quanto te-autore esegui il lavoro, ed il gesto diventa automaticamente una perfomance senza che te ne possa accorgere. Questo a mio avviso succede spesso anche nella “street art” (se cosi vogliono chiamarla), ma non nelle murate enormi o nelle fabbriche abbandonate, bensì durante i raid notturni illegali, quelli sono vere e proprie perfomance.
Cosa sta preparando per il prossimo evento Disco_nnect che ti vedrà protagonista?
Quella di Disconnect sarà la cosa più effimera che avrò fatto: avrò solamente un giorno per la realizzazione e la messa in opera che sarebbe il giorno stesso dell’evento. Ovviamente mi adatterò a questa cosa, cercando di fare una cosa più semplice del solito, basata molto sulle luci, essendo in notturna. Sarà una cosa basata molto sul riflesso del presente, un ambientazione fredda, quasi aliena, un mix tra ieri-oggi-domani. L’ambientazione sarà la fase embrionale di un progetto che ho iniziato e sto portando avanti, che riguarda gli anni 90 e la rave culture, in futuro il tutto giocherà sull’interattività col pubblico delle luci e di un suono di un synth. Quello che presenterò domani sarà un’anticipazione di quello che poi verrà fuori.