Come caramelle da scartare, gli scatti di Matthias Heiderich hanno un sapore dolce e frizzante, lollipop da gustare alla vista. I colori di molte sue composizioni abbagliano e scuotono per lasciare negli occhi mondi retrofuturistici e pseudo alieni.
Tutto è invaso da un dinamismo vivace: il punto di vista, i soggetti astratti, le scale, le linee di fuga spinte sono vettori che indirizzano lo sguardo in un vortice in cui risuona musica elettronica, intensa influenza nella vita del fotografo. Le foto suonano, si muovono, sono vive, come vivi sono i colori che accendono questa energica rappresentazione minimalista, vibrante slancio dal passato al futuro. Non resta che assaporare il suo mondo leggendo l’intervista che Artwort ha posto a Matthias Heiderich.
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Nel 2008 hai iniziato a scattare foto da autodidatta. Quali sono stati i tuoi primi passi? Come sei riuscito a sviluppare un punto di vista personale sulla fotografia?
Inizialmente uscivo ogni giorno per scattare foto e fotografavo qualsiasi cosa trovassi interessante. Non mi importava molto dell’attrezzatura o della composizione. Questi pensieri sono arrivati dopo quando ho realizzato che questi fattori possono migliorare le mie foto rendendole ancor di più come vorrei che fossero. Ho sviluppato il mio personale punto di vista col tempo attraverso la pratica e osservando molti portfolio su interntet, libri, riviste e mostre. Gradualmente ho scoperto ciò che voglio e non voglio fare e che mi diverto di più fotografando edifici che persone e che preferisco le composizioni semplici a quelle complesse. In pochi anni ho realizzato le mie foto e ho girato molti posti diversi in cui ho lavorato e credo che la mia fotografia e la mia personale visione siano cresciute grazie a questo.
Sei un fotografo con sede a Berlino. Cosa ti piace dell’architettura tedesca e da che tipo di edifici sei attratto?
Non c’è nulla di speciale, semplicemente mi piace l’architettura tedesca. La ragione per cui mi sono trasferito a Berlino non è per l’architettura della città ma per la scena musicale. Questa però è stata la prima città in cui ho iniziato a fotografa e, infatti, specialmente la Berlino ovest è piena di architetture strane ed interessanti. Sono attratto dall’architettura strana e unica che è un po’ futuristica; in generale sono attratto da qualsiasi cosa retrofuturistica e pseudo aliena. A volte con gli edifici è come con gli incidenti stradali, è difficile distogliere lo sguardo anche se non è piacevole. Sono attratto più dai brutti edifici che da quelli belli.
Cambi il tuo approccio se sei in un altra città?
No non lo cambio, mi diverto camminando per la città, che è ciò che faccio ovunque quando visito una città per la prima volta – cammino molto e tengo gli occhi aperti.
Sei stato in Italia e hai pubblicato un libro dal titolo “Alveare”. Quali sono state le tue impressioni sull’architettura italiana?E’ difficile da dire, io ho focalizzato la mia attenzione solo sull’architettura tra gli anni ’60 e ’70, per cui non posso dare un giudizio sull’architettura italiana. Posso dire però che gli edifici che ho fotografato sono belli e terribili allo stesso tempo. Molti architetti hanno cercato di trovare la migliore soluzione per dare alloggio a molte persone in grandi blocchi. Molte idee non funzionano bene e sono diventate esempio di architetture fallimentari. Ho visitato alcuni di questi progetti e, mentre alcuni sono grandi blocchi brutti e grigi, alcuni sono molto belli e ben conservati. In tutti i progetti però le architetture non riflettono in modo appropriato le necessità umane e sarebbe difficile vivere in quegli enormi deserti di cemento con tanta altra gente. Ho cercato di catturare alcune delle idee degli architetti e come, nel tempo, gli abitanti hanno cercato di migliorare i loro spazi rimediando agli errori degli architetti.
Sembra che i tuoi lavori attingano da altre discipline: un mix di grafica, design, fotografia vintage. Cosa ti ispira?
Mi ispirano tutte queste discipline e il mio lavoro è un mix delle influenze che colgo.
Sei anche un fervente musicista, la musica influenza i tuoi lavori?
La musica è la mia più grande influenza, ispira qualsiasi cosa faccia, dal modo in cui mi vesto al modo in cui mi taglio i capelli e così via. La musica underground (elettronica) per me è sempre stata l’arte più importante e così come ha formato il mio stile di vita, così influenza anche il lavoro fotografico.
Le tue immagini sono minimaliste ma coloratissime e permeate da una luce accecante. Qual è il ruolo del colore nei tuoi progetti?
Il colore è uno degli elementi che collega i miei lavori e una delle componenti chiave della mia fotografia. Amo i colori e le combinazioni di colore e spesso mi manca qualcosa quando vedo le foto in bianco e nero.
Quali sono i piani per il tuo futuro?
Per il futuro spero di essere indipendente così come lo sono ora. Desidero solo realizzare lavori che mi interessano, lavorare ai miei progetti ed essere pagato per ciò che mi diverte. Mi piacerebbe leggere più libri e lavorare sempre più spesso insieme ad altri creativi.