La calma e il silenzio dei paesaggi di Ákos Major pervadono lo spettatore catapultandolo di fronte quello stesso spettacolo di città dormienti dai toni tenui.
Si ha la nostalgica impressione di trovarsi in un sogno, in un luogo apparentemente e stranamente deserto.
Laureatosi nel 2001 in Visual Communications presso la Moholy-Nagy University of Arts and Design (MOME) di Budapest, il fotografo ungherese comincia a lavorare per un’agenzia di comunicazione come graphic designer. La sua passione per la fotografia nasce come fuga dalla vita quotidiana, capace di ridonargli un’inaspettata serenità interiore.
Guardando i lavori di Michael Kenna, sua principale fonte di ispirazione, un weekend d’autunno prese la sua macchina fotografica e uscì per una lunga passeggiata sul lago Balaton.
In assoluta pace, lontano dal caos della città, capì che era quello che voleva fare. E da allora nulla è cambiato.
“Essere sommersi da quella sensazione di malinconia è piacevole per me. Ho sempre amato le lunghe passeggiate solitarie, facendo escursioni o semplicemente stando seduto sulla riva del lago, guardando l’acqua, perdendomi nell’infinità dell’orizzonte”.
Oltre ad essere affascinato dal gusto grafico e dall’onestà dei lavori di Michael Kenna, altri noti fotografi di riferimento per Major sono Elger Esser, Josef Hoflehner, Hiroshi Sugimoto, Olaf Otto Becker, Edward Burtinsky, David Burdeny, Alexander Gronsky e altri ancora. Ma l’ispirazione e le influenze cambiano di volta in volta, a seconda del suo interesse del momento.
Nella serie “Urbanesque“, l’atmosfera quasi monocromatica, priva di ombre, è l’elemento caratterizzate. Nulla è lasciato al caso.
I luoghi sono scelti con cura dall’artista, che rimane ad osservarli da lontano, o dall’alto di una sua personale “collina”. Luoghi che sembrano essere misteriosamente deserti o abbandonati. Paesaggi dai contorni evanescenti che producono un effetto meditativo.
La luce soffusa accarezza il profilo della città colta un attimo prima del risveglio. Tutto è silenziosamente statico. I toni delicati restituiscono quello stesso senso di serena malinconia da cui è pervaso il fotografo.
Negli scatti dov’è presente la figura umana, raramente fa da protagonista: l’attenzione principale è sempre rivolta al paesaggio.
Gli scatti di Ákos nascondono due segreti: il primo è essere pazienti e attendere il momento giusto per scattare, le giuste condizioni meteorologiche, il giusto soggetto. Il secondo è il silenzio. L’artista, infatti, preferisce scattare in solitudine, assorto nei suoi pensieri, in uno stato di meditazione, secondo i propri ritmi, senza pressione.
D’altronde, come afferma egli stesso:
“Credi in ciò che fai. Il feedback è importante, ma scatta per te stesso, non per il pubblico. E, soprattutto, non per il successo”.